AGI - Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sarà il primo grande banco di prova per il nuovo Governo italiano a Bruxelles. Al centro ci sarà l'attuazione degli obiettivi nel rispetto delle tempistiche previste. La Commissione europea ha gia' fatto capire, per bocca del commissario all'Economia, Paolo Gentiloni, che non saranno ammessi stravolgimenti ma solo piccole modifiche.
E su questo piano si giocherà il dialogo - o braccio di ferro - tra Chigi e Berlaymont. Ma i temi che vedranno l'Italia protagonista - o forse osservato speciale - sono anche altri. A partire dallo Stato di diritto che ora turba i sonni dei leader di Ungheria e Polonia. L'Italia è chiamata a completare la riforma della Giustizia per accelerare, in particolare, i tempi dei processi civili e rendere l'ambiente più confortevole per gli stranieri che vorranno investire o fare impresa nel Bel Paese.
Finora Bruxelles ha espresso un giudizio positivo del percorso avviato con la riforma Cartabia. Il nuovo esecutivo dovrà pronunciarsi in Consiglio anche sulle azioni avviate dalla Commissione contro l'Ungheria (da ultimo il possibile taglio di 7,5 miliardi dai fondi di Coesione a causa delle crepe nell'anticorruzione). In sostanza a novembre, sempre che la crisi non si risolva prima grazie agli interventi correttivi promessi da Budapest, chi rappresenterà Roma tra i Ventisette dovrà scegliere se stare dalla parte di Bruxelles o dell'Ungheria (e presumibilmente Polonia).
Le questioni in sospeso
Nei prossimi mesi, inoltre, l'Italia dovrà mettere fine anche ad alcuni contenziosi che vanno avanti da anni. Primo fra tutti la gestione delle licenze per il balneari. Il nuovo governo dovrà emanare i decreti attuativi per completare il lavoro iniziato dall'esecutivo di Mario Draghi e dare piena attuazione alla tanto odiata (in Italia) direttiva Bolkestein.
E ancora: da fine ottobre, quando a Palazzo Chigi avrà appena preso posto (forse) il nuovo premier, la Commissione avvierà con gli Stati il confronto sulla riforma del Patto di stabilità. Una partita cruciale che segnerà il rapporto tra capitali e Bruxelles nella gestione delle finanze pubbliche.
L'Italia, essendo sul podio dei Paesi più indebitati, avrà molto da negoziare. Ma già prima di arrivare alla riforma del Patto, Roma dovrà sottoporre alla Commissione la manovra finanziaria (generalmente a ottobre). Nonostante sia sospeso anche per quest'anno il Patto di stabilità (niente regola del 3% del deficit), Bruxelles insiste comunque sulla necessità di mantenere sotto controllo la spesa pubblica.
In particolare per i Paesi maggiormente indebitati (leggi Italia). Un'altra delle lunghe partite che vedono Roma contrapporsi alle altre capitali, in particolare a quelle del Nord, riguarda le migrazioni. È ancora in fase di negoziato il nuovo Patto per l'asilo e le migrazioni. L'obiettivo è portarlo ad approvazione definitiva prima delle elezioni europee che si terranno nel 2024.
La partita sui migranti
Il trauma della crisi migratoria del 2015 e le pressioni da più parti affinché Bruxelles facesse di più sulla gestione delle frontiere comuni avevano spinto la Commissione europea a proporre, il 23 settembre del 2020, il Nuovo patto per la migrazione e l'asilo, un testo pensato per includere in un unico quadro normativo non solo le regole sull'ingresso dei cittadini extra-Ue, ma anche le politiche sull'integrazione, sulla gestione dei confini e sulle relazioni dell'Ue con i Paesi terzi. Dopo due anni di trattative, il testo è ancora fermo alla fase dei negoziati.
Lo scorso 7 settembre il Parlamento europeo e gli ambasciatori dei Paesi che sono prossimi a ricoprire la presidenza del Consiglio Ue hanno sottoscritto una roadmap congiunta per arrivare all'approvazione finale del Patto entro febbraio 2024, ovvero la fine della legislatura europea. Questo apre per il prossimo governo italiano una finestra di un anno e pochi mesi per incidere sul testo finale. "Solo una risposta comune dell'Ue può fornire un sistema sostenibile", si legge nell'intesa.
A pesare sul lento percorso negoziale sono soprattutto le divisioni tra i governi nazionali in materia di solidarietà interna - dai ricollocamenti dei migranti sbarcati sulle coste dei Paesi mediterranei all'azione di contrasto ai cosiddetti movimenti secondari - e più in generale il diverso approccio tra i Paesi che ritengono una questione nazionale la gestione delle frontiere e chi invece, come l'Italia, invoca una maggiore presenza dell'Unione europea.
Un negoziato nel quale gioca un ruolo anche l'azione di Frontex, l'Agenzia europea della guardia di frontiera, il cui budget è passato dai 6 milioni di euro del 2005, quando è entrata in funzione, ai 754 milioni dell'anno in corso.
Le recenti dimissioni dell'ex direttore Fabrice Leggeri dopo mesi di accuse sul mancato rispetto dei diritti umani e le presunte responsabilità dell'agenzia nei respingimenti di migranti hanno riportato sotto i riflettori le contraddizioni di un'Europa che a parole rifiuta la retorica dei confini chiusi ai migranti promossa dai governi del gruppo di Visegrad (Polonia e Ungheria in testa), ma che finisce per applicarne parte della ricetta nell'effettiva gestione delle frontiere esterne.
A completare il quadro c'è l'arrivo in massa di profughi dall'Ucraina e la fuga dalla Russia - negli ultimi giorni - dei cittadini che rischiano di ricevere la chiamata alle armi voluta da Vladimir Putin.