AGI - La Camera affossa il presidenzialismo alla francese di Giorgia Meloni. Il copione si ripete anche in Aula: così come già avvenuto in commissione, vengono approvati gli emendamenti soppressivi presentati dal Movimento 5 stelle, che stoppano la riforma costituzionale che mirava ad introdurre l'elezione diretta del Capo dello Stato.
E, sempre come già accaduto in commissione, a pesare sono le assenze tra i banchi degli alleati: scorrendo i tabulati delle votazioni, infatti, risultano determinanti le assenze non motivate da missione che si registrano tra le fila di Forza Italia e Lega (16 deputati azzurri e 26 leghisti, in tutto gli assenti per così dire 'ingiustificati' nel centrodestra sono circa una settantina).
Può apparire una questione matematica, ma in realtà non ha nulla di tecnico: lo scarto tra i voti favorevoli (M5s, Pd, Leu e Alternativa, più le forze minori) agli emendamenti soppressivi e i voti contrari (Lega, FdI e Forza Italia, più i minori del centrodestra) non supera mai i 35 voti. Le assenze di Forza Italia e Lega raggiungono invece quota 42 voti. Italia viva opta per il bis del voto di astensione, dicendosi favorevole a una riforma in senso presidenziale ma contraria al testo targato FdI.
Ma, a differenza di quanto avvenuto nel primo round in commissione, questa volta la leader di FdI sceglie di non attaccare gli alleati della coalizione. Anche nelle dichiarazioni a caldo post voto, Meloni non affonda il colpo e al contrario rimarca la "convergenza" del centrodestra ("il voto di oggi dimostra che noi al di là delle nostre difficoltà sulle grandi questioni fondamentali abbiamo una convergenza"), pur aggiungendo che "sul resto però bisogna vedere" e nonostante i toni usati alla vigilia ("vedremo quanti avranno il coraggio di sostenere la riforma, non ci sono più scuse", sono state le sue parole).
Ma che dietro al voto a Montecitorio su presidenzialismo e soprattutto sull'altra riforma, la modifica della base elettiva del Senato da regionale a circoscrizionale (la Camera ha dato il primo via libera al testo Fornaro con il no atteso del centrodestra) si celino in realtà altre prospettive che riguardano la riforma del sistema di voto, secondo diversi deputati lo lascerebbe intendere la stessa Meloni, che non a caso scandisce: "Confido nella compattezza del centrodestra nel respingere una proposta di legge elettorale in senso proporzionale".
Del resto, che la riforma elettorale sia in stand by in attesa dell'esito delle elezioni comunali di giugno è uno dei rumors più accreditati nei palazzi della politica. "Dopo le amministrative capiremo se c'è un percorso comune su cui basare un miglioramento della legge" elettorale attuale, spiega ad esempio il ministro pentastellato D'Incà.
E' di qualche giorno fa il seminario del Pd in cui tutti i 'capi corrente' dem - con il placet del segretario che ha inviato il braccio destro Marco Meloni - hanno di fatto sposato il proporzionale, convergendo sulla necessità di mettere in campo una iniziativa formale per sbloccare l'impasse.
E non è un mistero che i riflettori siano puntati innanzitutto su Forza Italia, ma anche sulla Lega, nella convinzione - che accomuna parte dei dem ma anche dei pentastellati - che l'esito delle elezioni di giugno possa rappresentare uno spartiacque per il partito di Matteo Salvini a seconda del risultato dei voti ai singoli partiti all'interno della coalizione di centrodestra.
Secondo alcuni parlamentari di area centrosinistra, una conferma che le ostilità sul proporzionale potrebbero essere non lontane dal cessare si avrebbe osservando l'atteggiamento tenuto oggi proprio dalla Lega (e dal resto del centrodestra) sulla riforma della base elettiva del Senato: è vero che resta il no leghista, perchè - come ha ribadito in Aula il capogruppo in commissione Igor Iezzi, dietro si nasconde la volontà di una legge elettorale proporzionale - ma è altrettanto vero che la Lega ha ritirato tutti gli emendamenti 'ostruzionistici'. Così come Forza Italia non ha innalzato barricate.
C'è dunque tra gli ex giallorossi il convincimento che la riforma della base elettiva del Senato verrà messa in stand by a palazzo Madama, in attesa di vedere gli sviluppi interni al centrodestra e, quindi, di riprire il capitolo legge elettorale. "Con la modifica della base di elezione del Senato da regionale a circoscrizionale si potrà scrivere una legge elettorale capace di dare più rappresentanza e maggiore stabilità", dice ad esempio il capogruppo di Leu Federico Fornaro.
Meloni, dopo un appello rivolto in Aula all'intera maggioranza di non votare gli emendamenti soppressivi, dicendosi disponibile a confrontarsi su modifiche al suo testo, concentra i suoi strali su Pd e M5s ("vogliono continuare i giochi di palazzo"). I due partiti si presentano compatti all'appuntamento ed entrambi evidenziano la "strumentalità" del voler votare una riforma costituzionale a 11 mesi dalla fine della legislatura, "una bandiera elettorale".
"Non vedrebbe mai la luce, anche se ci fosse stato il sì della Camera", è il ragionamento che accomuna anche i renziani. Ma al di là delle riforme costituzionali votate oggi, il vero nodo su cui i partiti si stanno 'annusando' è appunto la riforma elettorale. Non sono sfuggite oggi le parole del presidente della Camera, Roberto Fico, che si è detto convinto che "ci sono ancora i margini per cambiarla". Frase che ha mandato su tutte le furie FdI, che parla di intervento "al limite dell'ingerenza", ma nessun commento è arrivato da azzurri e leghisti.