AGI - La notizia non sono le votazioni che si sono aperte nell’aula di Montecitorio, ma le trattative che hanno ricevuto un’accelerazione in una sequenza di incontri tra i quali quello tra Salvini e Draghi.
Sintetizza tutto sobriamente ‘Il Sole 24 ore” con questo titolo: “Primo scrutinio in bianco. Parte il dialogo su Draghi ma la trattativa è difficile”.
Lina Palmerini evidenzia che “la vera novità di ieri è stato un cambiamento nel ruolo del premier”, e ciò significa che “vuole contribuire a trovare la soluzione” anche perché “non renderebbe giustizia alla sua autorevolezza essere il frutto di un’emergenza più che di una scelta politica dei partiti”.
Il leader della Lega, nota ancora Palmerini, ha l’opportunità di “giocare da regista”. A ogni buon conto, in un’analisi firmata da Roberto D’Alimonte, il quotidiano di Confindustria sottolinea che “i numeri non giustificano un nome di parte”.
Nell’attivismo di Salvini, ‘Repubblica’ vede l’ombra di ambiguità e lo segnala con un titolo molto esplicito (“Il gioco doppio di Salvini”, dove l’inversione tra sostantivo e aggettivo cambia poco il senso).
Secondo il quadro descritto nei molti retroscena prodotti dal giornale, Salvini condurrebbe negoziati paralleli, da un lato con Letta e con Draghi, e dall’altro con Conte per cercare di portarlo a dirottare i 5 stelle su un candidato di centrodestra, che sarebbe Frattini.
Stefano Cappellini sostiene che sul percorso di Draghi verso il Colle “l’ostacolo vero si chiama Matteo Salvini”, perché il capo leghista al momento “non reputa adeguato il prezzo del suo sostegno al premier” e vorrebbe garanzie sul nuovo governo, ma Draghi non può dargliene “dato che secondo la Costituzione non si possono assegnare da Palazzo Chigi ministeri di un futuro governo”.
Sullo stesso giornale, Stefano Folli scatta questa nitida fotografia: “l’elezione del capo dello Stato e l’esecutivo di fine legislatura vanno di pari passo. Ogni tassello del mosaico deve andare al suo posto in fretta. È quel che sta accadendo? Non proprio”.
Perché Salvini ora “sembra porsi come l’architetto di una rinnovata centralità leghista da verificare nel nuovo governo” e “vuole parecchio per sé e per i suoi prima di impegnarsi per Draghi presidente”.
Si tratta, dunque, ma “con tanti ostacoli”, come titola il ‘Corriere della sera’. Antonio Polito semplifica spiegando che ci sono due possibilità: il massimo (Draghi) e il minimo (“un candidato accettabile da tutti perché non è di nessuno”, quindi il solito Casini o uno dei dei nomi terzi, uno politico e uno della società civile, di cui hanno parlato ieri Letta e Salvini”).
Mentre a Montecitorio si votava, continua Polito, i leader hanno “tastato il polso al ‘massimo’: se ti eleggiamo al Colle, chi nomini premier, ci saranno più ministri politici nel governo, sacrifichiamo qualche tecnico?”. Draghi ha replicato che queste risposte non sono nelle sue prerogative, sicché “i leader della maggioranza devono prendere le loro decisioni ‘sotto il velo dell’ignoranza’, cioè senza sapere se la cosa presenterà vantaggi, e per chi”.
Il ‘Corriere’ mette in rilievo, in un pezzo di Francesco Verderami, l’ottimismo di Giorgetti: “Andrà tutto bene”, e dato che il ministro leghista è sostenitore di Draghi “è chiaro a chi e a cosa si riferisca”.
'La Stampa’ racconta la trattativa in due diversi retroscena sui due protagonisti: Salvini, che, secondo quanto scrive Francesco Olivo, vorrebbe tornare ministro dell’Interno nel prossimo governo e che, se non accontentato, lancerebbe il nome Frattini per il Colle; Draghi, che stando alla ricostruzione di Ilario Lombardo, avrebbe sfidato i partiti invitandoli a scoprirsi, a dire chiaramente dove lo vogliono, avvertendo però di non essere disposto a restare a Palazzo Chigi a qualunque costo, e a essere pronto, se rimanesse premier, a “non usare più il bilancino tra i partiti come ha fatto in questi mesi” per prendere le decisioni. In questo contesto, secondo l’editoriale di Marcello Sorgi, ieri si sono fatti “due passi avanti e uno indietro”, ma il vero dato positivo è che adesso “tutti concordano sulla necessità di essere più responsabili, di trovare un compromesso e smetterla di fare i capricci”.
Una “disponibilità” nuova, che viene segnalata anche sul ‘Messaggero’ da Alessandro Campi. E poiché un presidente della Repubblica eletto senza accordo tra i partiti non si è mai visto, osserva Campi, Draghi “da tecnico (talvolta un po’ sdegnosamente al di sopra delle parti) si è dovuto repentinamente trasformare in politico, seppur sui generis, impegnato a dialogare con le diverse parti, ossia con coloro che dovrebbero eventualmente votarlo”.
Insomma, come titola ‘Il Foglio’, la partita per il Quirinale “ora è un referendum su Draghi”, e, scrive il direttore Claudio Cerasa, “quello di non averlo nei prossimi mesi né a Palazzo Chigi né al Quirinale è un rischio concreto che ora dopo ora inizia a prendere forma con estrema chiarezza all’interno dello scacchiere parlamentare”.
‘Libero’ mette l’accento sul tema dell’eventuale successione di Draghi a Palazzo Chigi: “Per sbloccare il Quirinale governo cercasi”, titola il quotidiano. Alessandro Sallusti nota che il prossimo presidente “non sarà né il più bravo né il più bello ma colui sul quale i partiti riusciranno a trovare un accordo politico”. E perché ciò accada, occorre “che contemporaneamente si trovi la quadra per un nuovo premier e un nuovo governo, nel caso il prescelto sia Draghi oppure che lo scossone sia tale da minare l’attuale maggioranza”.
Anche ‘il Giornale’ sottolinea, ma in chiave aspramente critica, l’intreccio governo-Quirinale. Scrive Augusto Minzolini: “Si teorizza, visto che questo governo non funziona e la maggioranza neppure, di trasferire d’emblee Draghi al Quirinale per preservarlo. Siamo passati dalla strategia dello scoiattolo a quella del Panda. Addirittura il premier svolge delle trattative con le forze politiche per creare le condizioni che gli consentano di salire al Colle”.
Attacco frontale a Draghi dal ‘Fatto quotidiano’, che monta una fotografia del premier in costume da Re Sole e titola “Monarchia o Repubblica’. Il direttore Marco Travaglio, in un editoriale dal titolo “Draghi o Schettino?” che allude alla supposta volontà del premier di sbarcare da Palazzo Chigi per salire al Quirinale, “pronto a rovesciare il governo che salva l’Italia mentre quei puzzoni dei suoi alleati (Conte, Salvini, B. e mezzo Pd), gli gridano ‘resti a bordo, cazzo!’”.
D’altro tenore la prima pagina di ‘Avvenire’ che nel titolo “Meglio tardi che mai” esala il sollievo per l’avvio delle trattative, e dà risalto all’appello del cardinale Bassetti, presidente della Cei, perché il Parlamento “interpreti il desiderio di unità che viene dal Paese”. Ma tra i grandi elettori, nota il quotidiano cattolico, c’è il “fronte Ttd” (acronico di “tutto tranne Draghi”), e per questo il cammino del premier appare in salita. Anche ‘il Manifesto’ la vede così: “Draghi in campo, ma è tiro incrociato”. E sui negoziati per il Colle, secondo il quotidiano comunista, “aleggia lo spettro della crisi”.
‘La Verità’ continua a distinguersi per un certo distacco con cui tratta il tema dell’elezione del capo dello Stato: solo un titoletto a una colonna in prima pagina, per dire che Draghi si muove “ma forse è tardi”. Nel suo editoriale Maurizio Belpietro spiega che non di sottovalutazione si tratta ma del fatto che “al momento non c’è alcuna novità”.