AGI - La rinuncia di Berlusconi non dirada la nebbia sul Quirinale, e non si vede ancora una candidatura che possa attrarre un’ampia convergenza tra i partiti.
Alla vigilia della seduta dei 1009 grandi elettori, i giornali descrivono la situazione con accenti diversi e in qualche modo la varietà di interpretazioni giornalistiche è una conferma della confusione che sembra regnare ancora nella politica.
Confusione che i titoli di prima pagina di due giornali, ‘Avvenire’ e ‘La Stampa’, riassumono con più immediatezza. Il quotidiano cattolico vede “Buio sul Colle”, e nell’articolo di Angelo Picarello spiega che il ritiro di Berlusconi apre uno “scontro su Draghi” il cui effetto è l’iniziativa dell’”asse sotterraneo” tra FI, Coraggio Italia e Italia Viva, di “sondare un ampio accordo su una figura come quella di Pierferdinando Casini”, mentre se prevalesse l’orientamento verso una figura “sganciata dai partiti” il nome già pronto sarebbe quello di Marta Cartabia.
Il giornale di Torino titola “Berlusconi si ritira, caos sul Quirinale”, e il direttore Massimo Giannini nel suo editoriale lamenta la mancanza di un “creator spiritus”, alludendo curiosamente all’inno liturgico composto nel IX secolo dal vescovo di Magonza, Rabano, per fustigare, in sostanza, la politica che pur avendo avuto mesi “per convergere sul nome del nuovo capo dello Stato”, adesso “si ritrova a vagare senza meta e ad affrontare l’appuntamento cruciale come un salto nel buio”.
‘La Stampa’ intravvede anche un possibile ritorno, come via d’uscita in extremis, all’ipotesi del bis di Mattarella. Lo scrive Marcello Sorgi, il quale, comunque, afferma che l’unica certezza al momento è che da domani le Camere “voteranno a vuoto”.
Il ‘Corriere della sera’ mette in evidenza il risvolto personale di un “Berlusconi deluso”, e dedica al “rammarico del Cavaliere” una lunga elegia a firma di Tommaso Labate.
Più sul concreto, l’analisi di Sabino Cassese indica lucidamente che con lo spettacolo del Quirinale “nell’opinione pubblica si affaccia l’idea sbagliata che la politica consista in quel che Tocqueville chiamava la ‘passion des places’, cioè nell’attribuzione di cariche, invece che nel guidare il Paese”.
Tra le ragioni dello stallo, Cassese indica la disintegrazione del quadro politico per cui questo è “un Parlamento di minoranze, e le minoranze sono al loro interno frammentate”.
Anche il ‘Corriere’, nei retroscena curati da Marco Cremonesi e Paola di Caro, accredita Casini come “carta coperta” per un accordo.
Secondo ‘la Repubblica’, invece, “Berlusconi ritira la candidatura per motivi di salute”, e la sua rinuncia innesca uno “scontro a destra su Draghi” mentre il Pd apre a Casini su cui sarebbe possibile una “convergenza bipartisan”.
Il direttore Maurizio Molinari nel suo editoriale “L’Italia in bilico”, avverte che si tratta non solo di scegliere un nome per il Quirinale ma di “qualcosa di più vasto e impegnativo: rafforzare la riconquistata stabilità del Paese, ovvero la più importante eredità del settennato di Sergio Mattarella”.
Sullo stesso giornale, Stefano Folli ragiona così: dato che a questo punto la candidatura di Draghi “potrebbe ripresentarsi alla fine di uno scontro senza vincitori né vinti” e “in quel caso saremmo di fronte alle macerie del sistema politico”, quella di un secondo mandato di Mattarella “sarebbe la migliore garanzia di stabilità”.
Sul ‘Sole 24 ore’, Lina Palmerini si incarica del punto politico, e riferisce di voci secondo cui il pensiero di Draghi è “condensato in un’agenzia Bloomberg dove in pratica si dice che il ‘no’ del Cavaliere lo rafforza”.
Ma il giornale di Confindustria guarda le cose in una prospettiva più legata all’economia, e nell’editoriale di Sergio Fabbrini invita a tenere conto del “fattore D”, ovvero debito.
Osserva Fabbrini che “l’elezione del presidente della Repubblica ripropone la debolezza della nostra politica”, per cui “si è costretti a ricorrere alla non-politica per garantire, anche dal Quirinale, la sostenibilità di quei 2,9 trilioni di euro” del nostro debito pubblico.
Il ‘Giornale’ titola “La lezione di Berlusconi” e sottolinea nell’editoriale del direttore Augusto Minzolini che “il Cavaliere ragiona da statista”, chiedendo “a sua volta un atto di responsabilità a Mario Draghi: non è il momento, infatti, che l’attuale premier lasci Palazzo Chigi perché alle emergenze di ieri, tutt’altro che risolte, se ne sono aggiunte altre”.
Stessi toni su ‘Libero’, che titola “Onore a Berlusconi”. Il Cavaliere, spiega il direttore Alessandro Sallusti nel suo editoriale, “esce dal campo come candidato ma non come giocatore”, mentre la sinistra “spogliata della battaglia anti Berlusconi è rimasta nuda, senza candidati e con gli alleati grillini in ordine sparso”. Così, secondo Sallusti, per Draghi “l’impresa si fa più ardua”.
Anche secondo ‘La Verità’, unico quotidiano nazionale assieme a ‘il Manifesto’ a non aprire con il Quirinale, la rinuncia di Berlusconi comporta un “alt a Draghi”, per cui “avanza Casini”. Sullo stesso giornale, Marcello Veneziani scrive un pezzo spiritoso sulle “strane coincidenze e i buffi misteri sugli inquilini del Colle”, per concludere che bisogna fare in fretta “non perché il 3 scada Mattarella, ma perché l’Italia non può essere priva di presidente mentre si celebra il festival di Sanremo”.
Con il titolo “Sipario” su una foto di Berlusconi, invece, ‘il Manifesto’ dà notizia che il Cavaliere “ha gettato la spugna”, come scrive la direttrice Norma Rangeri, che nel suo editoriale parla di “una liberazione, innanzitutto per il Paese che non meritava di essere intrattenuto da questa sceneggiata. E anche per il centrodestra, che Berlusconi ha continuato a tenere sulla corda”. Alla rinuncia, nota Rangeri, “è seguita una specie di ondata rimbalzista tra i vari capipartito: Draghi resti al suo posto e non si azzardi a pensare al Quirinale”.
La vede sostanzialmente così anche ‘il Fatto quotidiano”, che titola “La buccia del Banana” e afferma che la rinuncia di Berlusconi “azzoppa Draghi”, ormai sostenuto solo “dai due Letta, Giorgetti e Toti”.
Il direttore Marco Travaglio nel suo editoriale attacca il premier frontalmente: “Draghi al Quirinale lo spingono più all’estero che in Italia”, dove “in tutti i sondaggi due terzi degli italiani non vogliono che il premier diventi capo dello Stato, sia perché doveva portarci fuori dalla pandemia e abbiamo 3-400 morti al giorno”, sia perché “questo governo-ammucchiata è nato su misura per Draghi e non c’è nessun clone che possa sostituirlo”.
Quindi, sostiene Travaglio, “siccome per la prima volta nella storia non esiste una maggioranza né di centrodestra né di centrosinistra, ha più chance chi non appartiene a nessuno dei due”.
E tra questi, Travaglio menziona Elisabetta Belloni, direttrice del Dis, sui cui punterebbe Giuseppe Conte.
‘Dagospia’ gioca sullo stesso soprannome di Berlusconi usato dal ‘Fatto’ (ma inventato molti anni fa dal vignettista Altan), per un titolo goliardico: “Un Banana nel sedere di Draghi”.
Il sito attacca il premier che “ha perso la testa, si è cotonato il cervello in preda a un’arroganza da marchese del Grillo”, ma “non ha i voti per andare al Quirinale”. Conseguenza prevista: Mattarella dovrà disimballare gli scatoloni.
Su ‘Huffington Post’, Alessandro De Angelis, in un’analisi dal titolo “E dopo tutto questo casino siamo al punto di partenza”, fa il punto di una situazione in cui “alla fine, per consunzione, si sarà costretti a fare la scelta vera: o il premier o Mattarella”.
Senza sbilanciarsi più di tanto in scenari ipotetici, ‘il Messaggero’, che apre con l’asciutto titolo “Il passo indietro di Berlusconi”, constata che adesso “si riaprono le trattative e Letta prende tempo con un nome di bandiera”.
Il giornale dedica un servizio, di Francesco Malfetano, anche ai cambi di casacca fatti, in queste ore, da “peones illuminati sulla via del Quirinale”, parlamentari che entrano nel “gruppone di battitori liberi che – in assenza di un accordo tra i partiti – sembrano essersi presi il pallino del gioco di queste elezioni”.
Secondo ‘Il Foglio’, la rinuncia di Berlusconi “fa implodere il centrodestra”, perché “il boccino è ora nelle mani di Salvini che ha una terna di nomi” e la presenterà oggi a Enrico Letta, mentre Giorgia Meloni “sta con Draghi”.
Con il premier, di sicuro, sta il giornale, che in un articolo firmato da Giuliano Ferrara spiega come sarebbe un “peccato rinunciare al candidato più autorevole per il Quirinale”, perché tra i tanti “candidati rispettabili, nessuno offre le garanzie che dà Draghi”, e “liquidandolo si elimina il garante di un Paese dipendente dalla propria credibilità internazionale”.