AGI - Quattro ore e mezza di discussione accesa sul futuro della Lega e del centrodestra, sul governo di Mario Draghi e la sua eredità, sulle strategie in vista dell'elezione del prossimo presidente della Repubblica e sulla collocazione europea del partito.
Il giorno dopo, l'immagine che restituisce il consiglio federale della Lega è quella di un partito composito al suo interno, attraversato da sensibilità profondamente diverse. Anche se la sostanza è che, al termine della riunione, i 39 componenti del massimo organo esecutivo 'ex lumbard' hanno votato e rinnovato all'unanimità, su proposta di Roberto Calderoli, la loro fiducia al segretario Matteo Salvini, ribadendo che la definizione della linea politica del partito spetta solo a lui.
In primo luogo, è stato lo stesso Salvini a porre il tema identitario. Il problema è che abbiamo perso l'identità - ha riconosciuto il capo di via Bellerio -: dobbiamo ritrovarla, prima di poter pensare a governare nel 2023, dobbiamo lavorare a costruire una piattaforma programmatica, un progetto con cui presentarci alle Politiche.
E per questo, Salvini ha lanciato l'assemblea, convention delle idee, dell'11 e 12 dicembre a Roma. Ci è costato tantissimo sostenere questo governo, abbiamo pagato un prezzo altissimo in termini di consenso - ha poi ammesso - ma per noi è utile andare avanti con Mario Draghi.
Per quanto riguarda l'ipotesi di una eventuale candidatura di Draghi al Quirinale, il leader leghista ha spiegato che da parte sua non vi sono preclusioni all'ipotesi di un sostegno del suo partito. Il 'movimento' deve essere in entrambe le direzioni: noi diamo fiducia ma l'ex presidente della Bce deve comunque conquistarsi la fiducia.
A seguire ha preso la parola Giancarlo Giorgetti.
Dopo le scuse per il paragone Salvini-Bud Spencer e il 'bagno di umiltà', il ministro dello Sviluppo economico non si è trattenuto dal ribadire il suo pensiero.
Se ci muoviamo dentro il recinto di Draghi andiamo lontano - ha sostenuto -. Se usciamo da questo 'cordone', troviamo grosse difficoltà sia a livello di sistema Paese, sia in Europa, e sul piano internazionale, in generale. Giorgetti ha detto che, a suo avviso, il governo potrebbe andare incontro a delle difficoltà dopo la chiusura della partita 'Colle'. E che resta forte, in Ue, il tentativo di escludere le 'destre'. Per il vice di Salvini, l'apertura al centro e lo smarcamento da certe posizioni sono esiziali per il futuro della Lega.
E' quindi arrivato il turno dei governatori leghisti, i quali sono stati netti nel chiedere al segretario di fermare i "liberi pensatori" del green pass e di togliere questo tema dall'ambito del dibattito politico per restituirlo a quello della prevenzione della pandemia, centrale per chi come loro è in prima linea. Qualcuno ha quindi stigmatizzato anche altre uscite mediatiche, oltre a quelle di Giorgetti, appunto, certi passaggi sul 'no' al certificato verde.
Su questo tema, Salvini ha ammesso che nel partito ci sono stati dei corto circuiti. In diversi, tra governatori e segretari regionali hanno manifestato apprezzamento per il confronto avviato nel federale, esprimendo l'auspicio che rappresenti l'avvio di un dialogo interno, che mancava da troppo tempo. Gli stessi hanno chiesto che l'assemblea di metà dicembre sia un congresso programmatico vero, e non di facciata. Tutti hanno riconosciuto a Salvini il difficile lavoro di dover trovare una sintesi. E hanno convenuto che ogni critica e difficoltà sul cammino di Salvini, indeboliscono il segretario e quindi tutto il partito che porta il nome di Salvini nel
simbolo.
Per quanto riguarda nello specifico il confronto tra Salvini e Giorgetti, le tensioni dei giorni scorsi non sembrano completamente archiviate.
Il segretario leghista ha chiesto al suo vice di prendere una posizione pubblica e quest'ultimo ha diffuso una nota solo una volta terminata la riunione, quando già erano passate le 23, scegliendo di non mostrarsi ai giornalisti che attendevano la fine del federale all'uscita da Palazzo Montecitorio.
I fari erano tutti puntati sull’intervista di Giorgetti, ma le parole del ministro, che ha ammesso di essersi lasciato troppo andare con le ultime dichiarazioni, hanno stemperato comunque il clima di tensione. Ma poi la discussione sulla politica, ovvero sulle prossime mosse e su quale debba essere la strategia della Lega per il futuro, hanno fatto emergere in ogni caso le differenze tra l'ala 'salviniana' del partito di via Bellerio e la parte governista, incarnata dai ministri e dai presidenti di Regione. Il nodo resta il ruolo di Draghi.
Per Giorgetti bisogna salire sul 'carro' del premier, è l’unico che può dare alla Lega quella ‘patente’ di governabilità che serve sia in Italia che in Europa. La distanza tra i due, come è noto, è sulla collocazione del partito fuori dai confini nazionali. Per il vicesegretario è possibile spostare il Ppe a destra, spingere affinché tagli i ponti con la sinistra. Non così per il ‘capitano’. Ma il confronto andato in scena ieri al Consiglio federale è tra due prospettive. La prima – sostenuta da Salvini ma anche dalla maggioranza del partito – è che dopo l’esperienza del presidente del Consiglio, nata sotto la spinta di far uscire il Paese dal Covid e risollevare l’economia, debba essere la Lega e il centrodestra a giocarsi la partita. Gli elettori non capirebbero, governiamo già nelle Regioni, abbiamo tutto per poterlo fare come coalizione, il ‘refrain’. Per Giorgetti, invece, bisognerebbe puntare ancora su Draghi. Insomma, una sorta di Lega ‘draghiana’ allontanerebbe tutti i pregiudizi che ci sono soprattutto fuori dal contesto italiano.
Non è da considerarsi un caso che ieri Salvini sia arrivato al Palazzo dei gruppi di Montecitorio accompagnato dall'altro suo vice, Andrea Crippa, rimasto dietro di lui mentre dichiarava alle telecamere. Nel pomeriggio, indiscrezioni di stampa avevano riferito del presunto imminente 'tradimento' di Crippa, amico fraterno di Salvini e per anni suo assistente a Strasburgo, a favore di Giorgetti. La foto dei due è quindi servita a 'silenziare' subito i veleni. Silenzio che, negli ultimi giorni, è la modalità costante dei dirigenti leghisti, che non rispondono al telefono o si limitano a dire: "Sul federale non parlo, fanno fede le note della segreteria".
Al consiglio federale, infine, è stato dato il via libera ai congressi cittadini e provinciali il cui iter dovrebbe iniziare il 3 dicembre e durare fino a febbraio.