AGI - La scorsa settimana abbiamo avuto un “assaggio” di come sono cambiati gli orientamenti di voto degli italiani nel corso delle settimane che hanno preceduto (e seguito) le elezioni amministrative nelle principali città del Paese. Oggi siamo in grado di scattare una fotografia decisamente più precisa e realistica: negli ultimi 7 giorni, infatti, il “paniere” di istituti sulle cui rilevazioni si basa la nostra Supermedia è aumentato da 4 a 7. E questo, come vedremo, cambia non poco la situazione.
Coerentemente con le attese (quell’effetto “bandwagon” di cui abbiamo parlato spesso) dopo le tante vittorie dei suoi candidati alle amministrative, il Partito Democratico nei sondaggi ha fatto registrare una decisa ripresa, salendo fino a sfiorare il 20% e portandosi a soli due decimali di distacco da Fratelli d’Italia, ancora primo partito ma in lieve flessione. Il quadro peggiora anche per la Lega, che questa settimana scende addirittura al di sotto del 19% facendo registrare il suo nuovo record negativo da inizio legislatura.
Recupera invece terreno il Movimento 5 Stelle, che sembra non aver risentito più di tanto dei magri risultati delle amministrative (a cominciare da Roma, dove pur avendo ottenuto il miglior risultato per il M5S tra le grandi città, la sindaca uscente Virginia Raggi non è andata oltre il quarto posto).
Un “rimbalzo” che riguarda anche Forza Italia, che torna su valori più consoni a quelli visti fino a tutto il periodo estivo. Il motivo alla base di queste variazioni, apparentemente inspiegabili, è quasi certamente di natura statistica: in altre parole, poiché ciascun istituto di sondaggio “pesa” i suoi campioni in un certo modo, è verosimile che dall’analisi – parziale – della scorsa settimana fossero rimasti fuori dei sondaggi che stimano per il M5S e Forza Italia dei risultati migliori della media, in modo per così dire “strutturale”.
Se si guarda, come facciamo sempre, anche alle aggregazioni e quindi alle aree politiche, non si notano a prima vista grosse evoluzioni: il centrodestra rimane sulla carta di gran lunga la prima coalizione, come da diversi anni a questa parte. La vera novità riguarda invece le componenti della super-maggioranza che sostiene il Governo Draghi. La somma delle intenzioni di voto a quella che abbiamo definito “componente giallo-rossa” (PD, M5S e MDP) ad oggi è infatti superiore – sia pure di un soffio – a quella registrata al momento della formazione del Governo Draghi. Si tratta di una prima volta in assoluto, e allo stesso tempo una conferma del fatto che il peso elettorale relativo di ciascuna componente è una variabile da tenere d’occhio per capire, per dirla brutalmente “chi vince e chi perde” dalla partecipazione a un esecutivo di unità nazionale.
Fin qui abbiamo il quadro degli attuali rapporti di forza (virtuali, beninteso) tra le forze politiche del nostro Paese. Ma negli ultimi giorni – e, si può immaginare, nelle prossime settimane – sono avvenuti o avverranno altri episodi in grado di smuovere l’opinione pubblica e generare effetti anche sul consenso ai partiti. Il primo di questi fatti è la bocciatura, avvenuta ieri al Senato, della proposta di legge Zan. Una bocciatura che ha fatto esultare il centrodestra, ferocemente contrario a quella proposta di legge, e che ha rappresentato una netta sconfitta proprio per quell’asse giallo-rosso che si era fatto promotore della proposta Zan.
Come la pensano gli italiani su questa proposta? Secondo un sondaggio EMG, effettuato proprio nei giorni immediatamente precedenti la bocciatura da parte del Senato, il 57% degli italiani era favorevole, mentre solo il 22% si dichiarava contrario. Una percentuale simile era stata registrata già a luglio da Demos, secondo cui la percentuale di favorevoli era addirittura superiore al 60% (sia pure in calo dopo la forte campagna di opposizione da parte del centrodestra, avvenuta in primavera: a maggio infatti i favorevoli erano addirittura il 70%).
Un consenso nettamente maggioritario verso la proposta Zan – sia pure con sfumature diverse, soprattutto per quanto riguarda la “salienza” e l’urgenza percepita di approvare una legge di questo tipo – era stato registrato in realtà da molti altri istituti: da Euromedia a Ipsos, passando per Piepoli e Tecnè. Il tema, in questa occasione, era però forse un altro, e riguardava l’opportunità di affrontare l’esame in Senato in questi giorni oppure di rinviarlo. Su questo un’indagine di SWG realizzata a inizio settembre mostrava un quadro decisamente più spaccato: il 38% degli elettori riteneva infatti che il tema non fosse prioritario, contro un 35% che invece avrebbe voluto portare la discussione in Parlamento il prima possibile. Come spesso avviene – non serve quasi sottolinearlo – tra gli elettori di Lega e Fratelli d’Italia erano nettamente più numerosi i primi (con percentuali tra il 60 e il 70%), mentre i secondi erano sovra-rappresentati tra chi si diceva orientato a votare per il PD e – in misura inferiore – per il M5S. Va segnalato come un ulteriore 9% in quell’occasione si fosse distinto, se non altro, per la lungimiranza, poiché dichiarava che la cosa migliore fosse rinviare l’esame “perché ora [a settembre, ndr] rischia di non essere approvato”.
Un altro tema “caldo”, di cui si è iniziato a discutere e che – è facile prevedere – accenderà gli animi è quello relativo alle pensioni, in particolare al superamento di Quota 100. Il governo ha infatti escluso esplicitamente il rinnovo di questa misura, proponendo diverse alternative per “ammorbidire” il cosiddetto effetto-scalone che la fine di Quota 100 porterebbe con sé. Secondo le recenti rilevazioni di Ipsos ed EMG, gli italiani sono in larga parte contrari a un ritorno “sic et sempliciter” alla legge Fornero (cioè alla situazione preesistente all’introduzione di Quota 100). La stragrande maggioranza degli intervistati concorda sostanzialmente su un punto: e cioè che, anche senza prorogare Quota 100, si necessario intervenire sulle norme in materia previdenziale, di modo da consentire una flessibilità in uscita maggiore di quella che ci sarebbe se il Governo non intervenisse. Ma le pensioni, c’è da scommetterci, saranno solo uno dei capitoli della legge di bilancio su cui le forze politiche – e i rispettivi elettori – si divideranno nelle prossime settimane.