AGI - Sulla carta i conti li ha fatti Salvini con i parlamentari. Il centrodestra parte da una base di 450 voti, ai quali ha spiegato il leader della Lega, rivelando di essere in contatto con correnti del Pd, si aggiungerebbero quelli di una parte del gruppo misto.
Dunque, la coalizione, se fosse compatta, avrebbe tutte le carte in regola per poter avere voce in capitolo sull’elezione del presidente della Repubblica e se Berlusconi volesse fare un passo avanti “avrebbe tutto il nostro sostegno”.
Il Cavaliere da tempo ci pensa e, anche se oggi ha spiegato di non avere alcuna idea a riguardo, ha detto la sua sul futuro di Mario Draghi. “Un ottimo candidato” per il Quirinale (anche Salvini non esclude l’ipotesi del premier al Colle), ma sarebbe più utile – il parere del presidente di FI - se rimanesse a svolgere il ruolo di presidente del Consiglio per il bene del Paese.
L’incontro tra i leader dell’alleanza a villa Zeffirelli a Roma è servito per progettare i prossimi passaggi comuni sulla manovra (l’obiettivo è recarsi insieme dal premier Draghi), per valutare strategia e metodo (una sorta di cabina di regia), ma in vista ci sono soprattutto le manovre riguardo al voto sul Capo dello Stato.
Lega e Fdi non puntano su un’eventuale conferma di Sergio Mattarella e Giorgia Meloni ha già da tempo lanciato la 'sfida' al segretario dem Enrico Letta: votiamo Draghi e poi si va alle urne, ipotesi – quella delle elezioni anticipate – che il 'Capitano' leghista non considera possibile.
Dunque, il centrodestra riparte dopo la sconfitta delle amministrative proprio per prepararsi all'appuntamento di febbraio, ma si ritrova pure a dover fare i conti con le fibrillazioni interne ai partiti. Salvini – riferisce chi era presente all'incontro con i gruppi - con i suoi si è lamentato che il partito non è stato sempre granitico e che, per esempio, ha sbagliato chi ha detto una settimana prima delle Amministrative che i candidati non erano buoni.
Se qualcuno vuole andarsene è libero di farlo, la linea del segretario che ha voluto rivendicare il suo ruolo. E anche Berlusconi ha fatto capire che a dettare la linea è solo lui.
"Non capisco cosa vogliano questi qua", ha detto – accompagnando le sue parole con un gesto eloquente - ai cronisti prima di lasciare Bruxelles dove ha partecipato al summit del Ppe.
Dopo le prese di posizioni di ieri del ministro Gelmini e quelle di oggi dei ministri Carfagna e Brunetta - "ha rappresentato un malessere evidente nel partito", la tesi -, il Cavaliere è voluto intervenire per dire che si tratta di dichiarazioni fuori dalla realtà. L'affondo è proprio contro il responsabile degli Affari regionali che ha reagito alle decisioni prese sul capogruppo alla Camera: "Parliamo di problemi seri e concreti", ha tagliato corto l'ex premier.
La cosa che più ha fatto irritare Berlusconi è sentir parlare di una Forza Italia in balia degli alleati, con una deriva sovranista.
La tappa per salutare Angela Merkel (a cui l'ex premier ha portato un dono personale per ringraziarla degli anni di collaborazione insieme) e incontrare gli altri Capi di Stato e di governo del Ppe, è servita a Berlusconi per ribadire che il partito azzurro rappresenta i moderati. Il messaggio – 'inviato' all'Europa nelle vesti di 'federatore' dell’alleanza – è quello di rassicurare chi pensa ad un ritorno al passato del centrodestra.
“La Lega è lontana dai sovranismi”, certo un processo di avvicinamento al Partito popolare europeo "è lungo" ma tra Lega, FI e Fdi c'è – il 'refrain' del Cavaliere - una condivisione dei valori, "tutti in Europa si fidano di me, io sono il professore in cattedra, Salvini e Meloni che hanno la metà della mià età sono gli allievi".
Fatto sta che Lega e Fdi si sono schierate al fianco della Polonia e Salvini, dopo un videocollegamento "più che amichevole" con Marine Le Pen, ha rilanciato l’intenzione di fondare un "supergruppo" europeo della destra. Posizioni diverse sull’Europa quindi, ma anche sull'operato della Lamorgese e sul green pass, considerato che Berlusconi difende la prima e ribadisce che il passaporto sanitario è uno strumento di libertà.
Sulla linea che deve portare avanti il centrodestra nel post-voto è ancora scontro. L'ala governista azzurra non esce dal partito ma – dice un esponente di FI – "siamo come separati in casa". Le 25 firme di chi chiedeva un voto segreto sul capogruppo non sono state affatto ritirate, riferiscono fonti parlamentari.
"Un segnale – osserva la stessa fonte – che il malessere nel partito è ormai alla luce del sole e non si rassegna a decisioni calate dall'alto".
Ieri in FI si è tentata anche una mediazione su un nome terzo tra Barelli e Giacomoni, ma il Cavaliere ha tenuto il punto. All'orizzonte "non si esclude nel partito una nuova prova di forza su provvedimenti portati avanti dalla Lega e non condivise", la strategia dei moderati azzurri.
E sottotraccia anche nella Lega resta fibrillazione. Per colmare la distanza con i ministri di FI Salvini ha comunque rilanciato la necessità che si organizzi un incontro a settimana. E ieri i tre leader, dicendo no apertamente alle operazioni sulla legge elettorale, hanno voluto – osserva un altro dirigente forzista – “tentare di stoppare sul nascere un partito per Draghi”.
Ma il rischio che sottolineano in tanti nel centrodestra è che anche sulla partita del Quirinale nel segreto del voto la coalizione possa ritrovarsi divisa.
“Sarebbe uno smacco per il Cavaliere se dovessero venire a mancare nelle prime votazioni proprio i nostri consensi”, osserva un’altra fonte parlamentare di FI.