AGI - Via libera della Camera alla riforma del processo penale con 396 sì. Molte le assenze tra i banchi dell forze di governo: 16 gli assenti 'non giustificati' del Movimento 5 stelle (due i voti contrari, di Frusone e Vianello, mentre Masi si astiene), 26 tra gli azzurri, 23 nella Lega e 14 nel Pd, uno solo di Leu e 4 di Iv. Un voto che arriva al termine di una lunga giornata in cui non sono mancati momenti di alta tensione in Aula.
E per due volte la maggioranza si spacca: prima su un ordine del giorno di FdI (bocciato) sulla responsabilità diretta dei magistrati, con Lega e Forza Italia che si astengono nonostante l'esecutivo avesse dato parere negativo.
Poi su un ordine del giorno sugli ecoreati da sottoporre al regime speciale previsto per mafia, terrorismo, droga e violenza sessuale, per i quali si prevedono delle deroghe all'istituto della improcedibilità. In questo caso è il Movimento 5 stelle a votare a favore, assieme ad alcuni esponenti di Leu, seppure il governo avesse tentato di riformulare il testo della verde Muroni, modifiche però non accettate. L'ordine del giorno viene respinto per soli 5 voti.
E fioccano tra centrodestra di governo e ex giallorossi accuse incrociate sulla "lealtà" a Draghi e su chi è "coerente" e chi no. Si sfiora la rissa: il renziano Giachetti attacca Leu per le parole di Travaglio sul presidente del Consiglio, il capogruppo Fornaro lascia il suo posto e si dirige verso i banchi di Iv.
L'intervento e i ripetuti richiami del presidente Fico riportano la calma ed evitano il peggio. Nel mezzo Italia viva, che rivendica: "Chi si riempie la bocca di senso di responsabilità dovrebbe quantomeno essere coerente, altrimenti restano solo parole al vento, più utili alla propaganda che al bene del Paese".
Non sono le uniche tensioni che si registrano in giornata tra le fila della maggioranza: al Senato è scontro aperto tra renziani, dem, pentastellati e Leu sul ddl Zan, il cui esame in Aula slitta a settembre. Nel frattempo, in commissione alla Camera vengono depositati 1.300 emendamenti al decreto sul green pass in vigore da venerdì prossimo, oltre 900 quelli della Lega.
Nei capannelli trasversali nel cortile di Montecitorio, tra un voto e l'altro, il refrain della giornata è: "È iniziato il semestre bianco, liberi tutti....".
Tensioni a parte, la riforma penale, frutto di una lunga quanto difficile mediazione nella maggioranza con l'intervento diretto del premier Mario Draghi per sminare il terreno dai veti incrociati e arrivare a un'intesa in extremis, passa ora all'esame di palazzo Madama.
Se nelle dichiarazioni e nei singoli voti esplodono le diverse posizioni, le forze politiche che sostengono il governo tuttavia si ricompattano al momento del voto finale e rientra, come già avvenuto nella notte sui due voti di fiducia, l'iniziale pesante dissenso emerso nel Movimento 5 stelle, che ha portato domenica ben 40 deputati a non presentarsi in Aula sul voto contro le questioni pregiudiziali, anche se il malessere non si placa (alla fine in 16 disertano il voto).
Tra gli interventi in dichiarazione di voto finale quello dell'ex Guardasigilli Alfonso Bonafede, applauditissimo dai 5 stelle e contestato dalle opposizioni (e a tratti anche da alcuni esponenti di centrodestra): "Non intendo rispondere a nessuna delle provocazioni che sono state fatte perché la giustizia non è una questione personale", premette l'ex ministro. Che poi rivendica: "La prescrizione si blocca dopo la sentenza di primo grado", cavallo di battaglia del Movimento.
"In appello e Cassazione scatta l'improcedibilità. Abbiamo alzato le barricate? Assolutamente sì. Siamo stati gli unici? Orgogliosamente sì. È nel nostro dna essere in trincea per difendere i valori della giustizia". Infine, Bonafede mette in chiaro: "Si vuole far passare l'idea che il governo Draghi in fretta e furia ha scritto una riforma del processo penale nuova, lontana anni luce da quella scritta dal governo Conte II. La realtà è che si vota la riforma del processo penale a prima firma Bonafede, approvata nel Cdm dal governo Conte II e successivamente emendata dal governo Draghi".
Parole che galvanizzano i pentastellati e che, assieme alla linea dettata dal leader in pectore Giuseppe Conte (che non ha mancato di strigliare i dissidenti), aiutano il Movimento a presentarsi all'appuntamento (sotto i riflettori delle altre forze di maggioranza) se non proprio in schieramento granitico ma sicuramente più coeso.