AGI - "I ristori non bastano più, vanno pagati i danni". Luca Zaia non ci sta a tenere ancora chiuse le piste da sci della sua regione dopo che lui stesso aveva firmato, nelle scorse ore, l'ordinanza con la quale si dava il via libera alle discese. "Ora non si può più parlare soltanto di ristori. In questo caso ci vorranno degli indennizzi. Dei riconoscimenti per il danno subito", sottolinea in una intervista al Corriere della Sera.
Il ministro della Salute Roberto Speranza, infatti, davanti ai dati sulla pandemia che sembrano indicare una recrudescenza del virus, con le varianti che si affacciano anche in Italia, ha disposto il prolungamento dello stop allo sci.
Una decisione che genera polemiche fra gli amministratori delle regioni e all'interno della maggioranza che fanno leva più di altre su questo settore turistico. Soprattutto per la tempistica del provvedimento: "Le Regioni che avrebbero riaperto oggi, Lombardia e Piemonte, hanno saputo del nuovo stop quattro ore, dico quattro ore, prima della riapertura possibile degli impianti. Quattro ore".
Il provvedimento è arrivato ieri ed è valido da oggi ma, sottolinea Zaia, "le località attrezzate per lo sci in notturna avrebbero potuto aprire gli impianti a mezzanotte e un minuto. Se poco prima non fosse arrivata l’ordinanza del ministro".
Quindi a segnalare la gravità economica, aggiunge: “Dietro alla montagna invernale ci sono sì gli impianti di risalita, i grossi operatori. Ma c’è anche una nuvola densa di piccole attività, dalla ristorazione ai maestri di sci, che non è codificata ma è imponente. Ci sono gli stagionali... Il danno è colossale”.
Quindi Zaia chiede un risarcimento che va oltre i ristori, “perché in questo caso, nella prospettiva di riaprire a breve, gli operatori avevano già battuto le piste e messo le indicazioni, bar, ristoranti e rifugi avevano fatto magazzino, gli stagionali si erano diretti in montagna... A tutte queste persone dici di no il giorno prima? Dopo investimenti particolarmente gravosi, dopo una stagione come quella che è stata? Non ci sono parole per descrivere la rabbia, motivata, dei nostri operatori”, conclude.