AGI - Quelle di domenica 20 e lunedì 21 sono state le elezioni dei governatori. Sembra una tautologia, trattandosi di elezioni regionali, ma non è così. Come abbiamo visto l’esito del voto nelle 6 regioni principali – ricordiamo ancora una volta che la Valle d’Aosta ha un sistema diverso e fa storia a sé – ha risentito pesantemente dei fattori locali, più che del clima politico nazionale. E, tra i fattori locali, un ruolo preponderante l’hanno avuto proprio le personalità dei Presidenti uscenti.
Non si tratta di una sorpresa. Già nei mesi scorsi diverse analisi avevano rivelato come l’emergenza Covid avesse messo al centro la politica regionale (o piuttosto, le politiche regionali) come mai in passato, dal momento che la sanità è materia che ricade tra le potestà legislative e amministrative delle Regioni. Ma ora i dati definitivi dello spoglio ci confermano che questa dinamica è stata decisiva nell’indirizzare le scelte di voto degli elettori e nel determinare gli esiti delle varie sfide.
Per quantificare il “valore aggiunto” dei candidati Presidente – e in particolare di quelli uscenti, e riconfermati – alle elezioni regionali (così come per i candidati sindaci alle elezioni comunali) esiste un metodo molto veloce e diretto: confrontare la loro percentuale di voto e confrontarla a quella delle liste in loro sostegno. Com’è noto, infatti, in questo tipo di elezione è possibile votare un candidato Presidente anche senza votare una lista (o persino votando una lista che sostiene un candidato diverso – il cd “voto disgiunto”).
Scopriamo così che in Campania Vincenzo De Luca è stato votato (direttamente o indirettamente) da oltre 172 mila elettori in più rispetto alle sue ben 15 liste, con un saldo positivo in termini percentuali dello 0,9% (69,5% contro 68,6%). Michele Emiliano, in Puglia, ha ottenuto un +1,5%, anche qui rispetto all’insieme delle ben 15 liste in suo sostegno, e 111 mila voti in più. I loro principali avversari, Caldoro e Fitto, hanno fatto invece registrare un -1% e un -2,5% rispettivamente.
Leggermente diversa la situazione in Liguria e in Veneto, dove Giovanni Toti e Luca Zaia ottengono saldi apparentemente negativi (-0,4% per il primo, -0,2% per il secondo). Si tratta però di un’illusione, poiché per entrambi il saldo si fa nettamente positivo in termini di valori assoluti: +29 mila voti per Toti, addirittura +300 mila per Zaia. L’illusione in questo caso è dovuta al fatto che (come vedremo) il consenso nei loro confronti si è espresso anche attraverso le liste del Presidente, in entrambi i casi molto competitive al punto di ottenere la palma di prima lista nelle rispettive regioni.
E infatti, il secondo metodo – o piuttosto, il secondo “indizio” – che ci porta a cogliere la rilevanza dell’effetto “personale” dei governatori, è proprio quello di guardare il dato delle loro liste personali. Non sempre si è trattato di liste “apolitiche” o con una connotazione civica, anzi; ma quello che qui ci interessa è che questo tipo di liste, agli occhi degli elettori, si appaiono come un’espressione “diretta” del candidato Presidente: difficile, quasi impossibile, che un elettore che vota per un simbolo su cui campeggia il nome del candidato – e poco o nient’altro, talvolta – non nutra fiducia e non voglia, con quel voto, manifestare il proprio consenso verso quel candidato.
Qui, come abbiamo già visto, il record assoluto è quello di Zaia. La sua lista personale ha ottenuto un consenso da record, superiore al 44% dei consensi e risultando abbondantemente la più votata del Veneto, quasi triplicando il dato della lista ufficiale della Lega (16%). Notevole è anche il valore aggiunto della lista di Toti in Liguria (Cambiamo!), anche qui primo partito della regione con il 22,6%.
Meno eclatante, ma non per questo meno significativo, il dato della lista De Luca Presidente, che in Campania è stata comunque la seconda lista più votata (alle spalle del PD, partito di cui De Luca fa ufficialmente parte) con il 13,3% dei consensi. Il caso di Michele Emiliano è invece particolare: le liste che fanno direttamente riferimento a lui sono ben due, e insieme assommano l’8,2% dei voti; non moltissimo, ma soprattutto un dato inferiore all’unica lista personale del suo avversario Fitto (8,4%). E non è l’unica “anomalia” dell’Emiliano Presidente uscente (e riconfermato).
Veniamo infine al terzo e ultimo metodo, che è quello di guardare al bilancio dei consensi ottenuti dai 4 governatori riconfermati, misurato in termini di variazione rispetto al voto di 5 anni fa.
Qui risulta ancora più evidente in cosa risieda la “anomalia” di Emiliano, e al contempo quanto sia stato impressionante il valore aggiunto degli altri 3 governatori uscenti e riconfermati. De Luca, Toti e Zaia migliorano tutti di oltre 20 punti il loro score ottenuto in occasione delle Regionali 2015. Un miglioramento impressionante, soprattutto se si considera che in questi ultimi 5 anni l’orientamento politico generale del Paese è cambiato molto (come dimostrano le due “rivoluzioni elettorali” delle Politiche 2018 e delle Europee 2019) e che i tre governatori in questione appartengono a tre partiti diversi e che solo due di essi fanno parte di una stessa area politica (il centrodestra).
Il miglioramento è evidente anche considerando la variazione delle liste del Presidente già menzionate, sempre misurata rispetto al 2015. La lista di De Luca, che come abbiamo visto ha ottenuto un risultato meno eclatante delle altre, riesce comunque a triplicare il dato del 2015, passando dal 4,9% al 13,3%. Meglio ancora va a Toti, che nel 2015 non aveva nemmeno una sua propria lista, ma nel frattempo è uscito da Forza Italia, ha fondato Cambiamo e l’ha portata, come si è detto, sopra il 22%. Infine, la lista da record di Zaia passa dal 23% del 2015 – un dato di tutto rispetto già all’epoca – al 44% di oggi.
Più dei partiti che sul piano nazionale continuano a essere protagonisti – con le loro dinamiche e i loro rapporti di forza – in queste elezioni regionali hanno contato le persone, i leader. Leader locali, ma che hanno assunto una visibilità (e un peso politico) anche nazionale. Lo si era cominciato a vedere, in realtà, già con le Regionali in Emilia-Romagna, a causa della rilevanza che quella sfida aveva assunto sul piano mediatico e politico nazionale.
La trasversalità di questi leader, in grado di andare evidentemente ben oltre i bacini elettorali di riferimento dei partiti di cui sono espressione, è il motivo principale per cui non si può leggere e interpretare questo voto regionale come un voto politico nazionale. Da questa analisi sorge spontanea una riflessione: già in passato i sindaci hanno usato la visibilità del consenso locale per lanciarsi – in molti casi, con successo – sulla scena politica nazionale. Per i Presidenti di regione finora ciò è avvenuto meno, ma dopo l’emergenza Covid e queste elezioni regionali la loro rilevanza politica è decisamente superiore che in passato.