Per un pugno di voti la rivoluzione verde è scongiurata. Sollievo nel Pd, e non si tratta di una banalissima questione di tenuta del governo. A quella si sarebbe rimediato, in un modo o nell’altro. Alla peggio si cambiava governo. Non è nemmeno il caso di invocare la Linea Gotica, che in questo caso sarebbe servita a impedire ai barbari sognanti di scendere giù per le valli dell’Appennino come una volta avevano fatto con l’Isonzo.
Niente di tutto questo: se Giani il Grigio avesse perso contro Susanna Ceccardi sarebbe accaduto di molto peggio. Firenze non sarebbe stata più la Toscana. Nemmeno la Toscana sarebbe stata più la Toscana. Nemmeno Firenze sarebbe stata più Firenze, se è per questo.
Non importa che la Lega nelle urne abbia raddoppiato (Borghi, cinque anni fa, si fermò al 20 per cento): del resto non pare aver sfondato, più che nelle coscienze, nei cuori. Vallo a trovare un leghista autenticamente convinto tra Carrara e Grosseto. Hanno sì votato per la Ceccardi, ma mica per altro: lo hanno fatto per fare un dispetto a Firenze e al suo establishment (esiste, esiste) e poi anche al Pd ed al suo (esiste, ma ora un po’ meno). Lo hanno fatto soprattutto per sentirsi vivi, e su questo spiegheremo meglio più giù.
Ad ogni modo il dato è, se non certo storico, per lo meno memorabile: la regione rossa, quella che Lupo difese quando Ponte Vecchio lo volevano far saltare i nazisti, tiene il punto. Anche se ha rischiato, concretamente, di restare sepolta sotto le macerie di una sinistra tecnocratica e di un cattolicesimo democratico che dai tempi di La Pira e del Porcellino produce ben poco di accattivante. Due anime divise per decenni, poi riunitesi nell’alveo dell’Italia postideologica, ma sempre con un non detto, un non chiarito, un che di irrisolto. Uno di quei matrimoni in cui ci si sposa perché ci si sceglie, non perché ci si ami.
Il mondo cattolico è quello che ci rimette di più: ora non conta più nulla né a destra né a sinistra. Giani è laico, la regione è tra le prime ad aver detto sì alla Ru486 e il volontariato bianco sente sul collo il fiato del Terzo Settore a trazione salviniana. Se Salvini sventola il rosario per la via, del resto, in Toscana gli credono ma mica più di tanto: sono molto più smagati che in altre parti dello Stivale. Al tempo stesso, però, apprezzano quella che per loro sotto sotto è sfrontata ribalderia. Ricordiamoci sempre: Corso Donati era un gran gaglioffo, ma proprio per questo vinse a Campaldino. Che questa volta gli sia mancato all’ultimo il voto di Lucca o di Pistoia è un dettaglio o quasi. Ci saranno altre battaglie, per capire le quali è bene comprendere la natura del blocco che oggi, con un po’ di affanno, è riuscito nuovamente a portare a casa il risultato.
Ai tempi in cui erano divisi, i cattolici della sinistra democristiana di Base e i comunisti, il grosso del montepremi toccava ai secondi, ma i primi non erano per nulla irrilevanti. Al netto di Fanfani e dei suoi, che portavano ad Arezzo l’Autostrada del Sole con lo stesso zelo con cui ora vi si vorrebbe portare adesso la fermata dell’Alta Velocità, contavano sul territorio regionale quasi quanto a Roma. Sul territorio tenevano Lucca e non la mollarono mai. A Roma arrivavano spesso e volentieri molto in alto, magari premiando Lucca quasi quanto Arezzo. Nei paesini dell’alta collina versiliese ancora adesso le lapidi ricordano grate che l’acquedotto lo fece costruire settant’anni fa, ma lo si aspettava da secoli, Giuseppe Togni ministro – tra le altre 12 volte – dei lavori pubblici.
Togni ben conosceva la zona: aveva iniziato facendo il disegnatore per un opificio marmorario a Pietrasanta. Lui comunque era nativo di Pontedera in provincia di Pisa, come un Presidente della Repubblica chiamato Giovanni Gronchi: altro nome legato ai lavori pubblici e alle ferrovie. Firenze, poi, in quegli anni viveva la primavera di Giorgio La Pira: sindaco di visioni profetiche e statura realmente internazionale.
Per intenderci sul peso della città negli anni Cinquanta: vi si pubblicava un quotidiano, il “Giornale del Mattino”, diretto da Ettore Bernabei. Chiamato a Roma anche lui, costruì la Rai ad immagine e somiglianza della sua creatura di carta. Ancora adesso rimpiangiamo la qualità di quei palinsesti. Quanto a quella della redazione, basti dire che vi mosse i primi passi Riccardo Ehrman: il cronista che con una domanda avrebbe fatto crollare il Muro di Berlino, nel 1989.
Ma proprio l’’89 segnò la fine della concorrenza e l’inizio della convivenza. L’ormai ex Pci si rifugiò in una tecnocrazia per esso quasi fatale quanto lo era stata quella di Gomulka per il Partito Operaio Unificato Polacco; i cattolici di sinistra, orfani di una stagione splendida ma difficilmente ripetibile, si collocano sotto l’ala degli ex rivali, dimenticando magari che chi si è formato sulle tesi gramsciane difficilmente è disposto a rinunciare all’egemonia, sia essa politica o culturale.
Alla lunga si è creato così un vuoto, ed i vuoti in politica vengono sempre riempiti. Meno di cinquanta a più di quaranta sono percentuali che la dicono lunga, sulla vicinanza dei due blocchi. Ma non si creda che il problema sia quello di un trito e ritrito dualismo guelfi-ghibellini. Niente di più fuorviante: la storia dei guelfi e dei ghibellini, ma ancor più quella degli Buondelmonti e degli Amidei che li generarono, dimostra che il bipolarismo in Italia non è possibile. Guelfi bianchi e neri, Donati contro Alighieri, ghibellini di Pisa e di Pistoia, Canossa e Conti Guidi: non c’era una fazione che soddisfacesse il criterio base della dottrina “due partiti, una stabilità”. Al contrario: se le elezioni regionali si fossero tenute nel Trecento, l’unica legge elettorale possibile sarebbe stata la proporzionale, e guai a parlare di sbarramento.
In questi ultimi anni la legge elettorale regionale l’hanno invece impostata per forzare il bipolarismo nel nome del voto utile, ed ecco il risultato. Un motivo in più per immaginare che, dopo il referendum costituzionale, nel Pd ci si convinca a tornare a vecchi amori da Prima Repubblica.
Giani, infatti, era apparentemente l’usato sicuro, con il suo essere un Pd ex socialista (ascendenza Valdo Spini) apprezzato anche da Renzi e fiorentino doc. In realtà era l’azzardo avvolto in un sottile strato di certezza.
Ci spieghiamo: a scorrere l’elenco dei presidenti della Toscana si nota che i primi erano tutti di matrice socialista e gravitanti attorno a Palazzo Vecchio. Man mano che si va avanti, però, il baricentro si sposta verso l’esterno: Viareggio, Pistoia, Bientina. Quanto alla appartenenza partitica: Pci, PdS, Ds, Pd. L’ultimo, Rossi, Pd prima e anche poi, ma con in mezzo un giro di valzer chiamato Articolo 1. In questo contesto Giani, più che un ritorno al futuro, era considerabile piuttosto un futuro affidato al ritorno. Conseguentemente la DeLorean si è alzata da terra, ma il motore sbuffa e la turbina arranca.
Però non è solo questo il punto. C’è qualcosa di più profondo che sfugge ai più, pigramente usi come siamo a considerare la Toscana terra bipolare dei suddetti guelfi e ghibellini. Perché la Toscana è qualcosa di più. Anzi, le Toscane.
Non ce ne sono infatti solo due: ve ne sono, attenzione, almeno quattro.
La più antica è quella cattolica, fatta di misericordie, volontariato, impegno sociale ma anche una certa dose di gagliardia identitaria e spirito di contraddizione. Contraddizione, molto più di quanto non sembri, nei confronti delle sinistre ancora percepite come comuniste e contrarie ai valori non negoziabili.
La seconda è quella delle summenzionate sinistre, forgiatasi con Lupo su Ponte Vecchio ma sgorgante da un sostrato di ribellione sociale e non solo sociale. Nel Quartiere di Vasco Pratolini a un certo punto di sceglieva: destra fascista o sinistra socialcomunista. Tutto il resto veniva dal demonio.
Terza Toscana: quella illuministico-napoleonica. Laica, e nella sua laicità capace di regalare al mondo sprazzi di civiltà autentica: il Granducato fu il primo stato del mondo ad abolire la pena di morte. Nemmeno il Rinascimento fece niente di così avanzato per l’essere umano.
Da ultimo la Toscana di Papini e Malaparte: vitalistica, polemica, ribellista più che ribelle e sempre pronta a fare a morsi. Antiborghese, anticonformista. Niente di meglio, per sentirsi vivi, che sposare con dedizione assoluta una causa, senza pensarci, e trovarsi un nemico da abbattere. Appena si percepisce la stanchezza per l’ideale cui si è giurato eterna fedeltà se ne trovi un altro, e un altro nemico assoluto. L’eterna giovinezza.
Ecco, la Lega ha tentato, e in buona parte è riuscita, di intercettare quest’ultima Toscana. Ma sul perché questa sia divenuta, dopo lunghi decenni di irrilevanza, centrale al limite del decisivo, bene è su questo che bisogna riflettere.
Dell’egemonia della sinistra si è detto. Si aggiunga un ulteriore elemento: se si è egemoni, come le era Firenze su Siena e Pistoia sette secoli fa, si tende ad esserlo con tutti. Ma non è detto che il gioco riesca. La sinistra toscana ha sì fatto proprio il rapporto con una parte del mondo cattolico, ma a costo di irritare profondamente l’altra. Poi ha tentato di fare lo stesso con la componente laica del quadro regionale, e qui sono stati dolori perché anche se numericamente molto inferiore, la Toscana laica è culturalmente molto attrezzata. Ha finito per esercitare essa per prima una grande influenza culturale, che poi vuol dire anche economica e sociale, sugli interlocutori.
Ha tentato persino di fare sua la componente papiniana, la sinistra, regalandole in Matteo Renzi un azzardato connubio di La Pira e Prezzolini. La Voce stavolta è rimasta, però, poco ascoltata, e la Lega ha avuto gioco facile a prendersi ciò che forse le è culturalmente più congeniale, trasformandolo nel collante per tutti i delusi dall’avversario, soprattutto i non fiorentini. Quelli che l’aeroporto lo vogliono a Pisa e non per campanile, ma perché a Pisa c’è già mentre a Peretola finirebbe, la nuova pista, tra il monte e l’autostrada.
La sinistra ha rischiato, in conclusione, la fine del Bob al secolo Aldo, eroe partigiano per un equivoco e rubacuori di Borgo San Frediano grazie alla presunta somiglianza con Robert Taylor. Le voleva tutte per sé, le ragazze di San Frediano. Ma quelle erinni lo lasciarono nudo, alle Cascine, dopo averlo doverosamente preso in giro su ciò che aveva di più caro (inutile dire cosa).
Per fortuna che c’è sempre un’altra possibilità, e questa volta è andata bene: per la sinistra, per Firenze. Ci fu anche per Bob, che alla fine riuscì a sposarsene una, di quelle ragazze di San Frediano. Ma solo dopo aver detto addio a tutte le altre.