AGI - "Riapre il cantiere delle riforme". Il Partito democratico, con il vice segretario Andrea Orlando, accoglie così le notizie che provengono dalla Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio, dove è stato deciso di adottare il testo base sulla legge elettorale, martedì 8 settembre, e soprattutto fissare il termine per la presentazione degli emendamenti a venerdì 4 settembre.
La prova del fuoco
Un passaggio affatto scontato nè banale per il futuro prossimo del Partito Democratico chiamato, assieme alla maggioranza di cui fa parte, ad affrontare una serie di prove del fuoco. Si comincia il 14 settembre con la riapertura delle scuole, diventata la "priorità assoluta dell'agenda di governo". Una corsa contro il tempo di cui è sempre più difficile prevedere gli esiti. E un flop potrebbe avere conseguenze sugli altri due passaggi: il referendum e le elezioni regionali.
Il rebus indecisi
Stando ai sondaggi, infatti, sarebbe ancora corposo il fronte degli indecisi e il nodo scuola potrebbe caricare la consultazione anche di un giudizio politico sull'operato della maggioranza. Il rischio per il Pd è, inoltre, che un No forte possa finire per danneggiare i candidati dem: Zingaretti, consapevole della posta in gioco, si è esposto in prima persona in questa campagna elettorale ricordando a più riprese che "il Pd è il solo partito politico che ha presentato liste e costruito alleanze ovunque. Rappresenta la più stabile e forte alternativa alla destra di Salvini ed, eccetto una Regione, ai 5 stelle".
Il 'treno delle riforme'
Da qui il sollievo dei dem per la decisione presa oggi dalla Prima Commissione della Camera. Lo sblocco delle riforme, per i dem, toglie argomenti a chi parla di una riforma che "sfregia la Costituzione" alterando il rapporto numerico tra eletti ed elettori. La legge elettorale proporzionale con soglia di sbarramento nazionale al 5%, immaginata a dicembre, garantirebbe quella rappresentanza che verrebbe rafforzata anche dai correttivi contenuti nella proposta Fornaro. Scelte che, di fatto, fanno ripartire il treno delle riforme, anche se è difficile capire quanta strada farà il convoglio.
Ma rimangono i dubbi
I dubbi nella maggioranza, e anche in seno al Pd, sul referendum e i correttivi che esso dovrebbe portarsi dietro sono ancora ben presenti, tanto da spingere il segretario nazionale, Nicola Zingaretti, a prendere carta e penna per denunciare un clima di "insofferenza verso il governo, la maggioranza e il lavoro svolto". Una insofferenza che si manifesta anche brandendo "il No al referendum come una clava contro il Pd". Parole che, nel partito, sono accolte con una levata di scudi a favore del segretario. Dagli esponenti della segreteria, ai sindaci, passando per la componente di Base Riformista, il plauso è unanime. O quasi.
Il fronte interno
Matteo Orfini, pur senza citare Zingaretti, nega che una vittoria del No al referendum possa avere effetti sull'esecutivo o sul Partito Democratico: "Il governo va avanti a prescindere dal risultato del referendum" sul taglio dei parlamentari, dice: "Sono due piani distinti". E ancor meno collegato, per l'ex presidente dem, "è il risultato delle elezioni Regionali. Si tratta di una cosa diversa: noi siamo impegnati per vincere nelle Regioni, ma abbiamo un giudizio negativo sul referendum. E' improprio mischiare questi due piani". Sulla stessa linea il senatore Francesco Verducci per il quale, il referendum rappresenta un bivio per i dem che, sul Sì o sul No, si giocano la loro "cultura politica". Nel merito, poi, non basta il "passo in avanti" della Commissione Affari Costituzionali a sopire i malumori di chi, come Orfini, parla di sfregio alla Costituzione: "Il passaggio in Commissione Affari Costituzionali è totalmente irrilevante", spiega. "Siamo all'inizio di un percorso e non c'è alcuna garanzia che la riforma vada in porto. E' un discorso che risale a un anno fa e non se ne è fatto nulla. Oggi siamo chiamati a votare una taglio secco che sfregia la Costituzione", conclude Orfini.
Gli argomenti del Sì
Nonostante questo, il fronte del Sì interno al partito appare quanto mai compatto e rinvigorito proprio dalla decisione della Prima Commissione di adottare il testo base e cominciare a votare sulla proposta Fornaro. "Finalmente avremo il testo base e venerdì il termine per gli emendamenti alla proposta Fornaro, che per la rappresentanza è fondamentale", spiega il presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, Dario Parrini. "Inoltre, la prossima settimana al Senato speriamo di votare l'allineamento dell'elettorato attivo e passivo. Perchè, anche se non ci si pensa, al Senato non abbiamo ancora un suffragio veramente universale, essendo esclusi dal i giovani tra 18 e i 25 anni. Si potrà essere eletti al senato a 25 anni e non più dai 40 anni. Con la vittoria del No non si fa nulla, con quella del Sì si apre un cammino possibile di riforme". Ma non solo: "Dopo queste riforme, si potrà aprire una discussione sul cancellierato e la sfiducia costruttiva, nonchè sulla valorizzazione del Parlamento in seduta comune".