AGI - Tra annunci, speranze e critiche (anche all'interno della maggioranza), il via libera alle alleanze per le amministrative sancito ieri dalla piattaforma Rousseau tiene banco nelle discussioni fuori e dentro il Movimento 5 stelle.
Luigi Di Maio non si sottrae al confronto dopo una decisione che cancella uno dei capisaldi della dialettica pentastellata. Il ministro degli Esteri in una intervista alla Stampa cita Pietro Nenni. "Credo che l'immobilismo - spiega - giovi alla conservazione, che l'alimenti e se ne alimenti. L'attesa è corrosiva per una democrazia parlamentare, bisogna mostrarsi capaci di reagire". Un concetto che per il ministro degli Esteri gli iscritti a Ruosseau hanno compreso e approvato.
"Hanno chiaramente detto di volere evolvere - sostiene ancora - facendo evolvere il Movimento. Non credo sia il momento di fare previsioni, ma è evidente che ora si possono porre le basi anche per le comunali del 2021". Prime prove saranno le elezioni per Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli. "Spero che ci possa essere una intesa complessiva", aggiunge sottolineando che "si è aperto un percorso per le elezioni amministrative, sulla base di un lavoro che stiamo portando avanti al governo centrale".
E proprio dal principale alleato di governo giungono altri segnali positivi. Andrea Orlando, vicesegretario del Partito democratico, auspica l'avvio di un nuovo cammino a iniziare dal voto nelle Marche e in Puglia. Anche perché, afferma in una intervista al Fatto Quotidiano, "è abbastanza evidente che un'alleanza tra noi e M5s può fare la differenza" .
L'esponente dem chiede tempi celeri, ricorda che per far funzionare la possibile alleanza "è necessario dargli contenuti sennò la sommatoria rischia di essere a saldo negativo", e osserva che grazie al patto giallorosso "in Italia ora c'è una coalizione europeista e una anti europeista".
Dalla sponda renziana della maggioranza le critiche sono tonanti. Davide Faraone, capogruppo di Italia viva in Senato, non usa mezzi termini per attaccare il Pd e a Repubblica dice: "Questa resa fa rabbrividire".
Il partito fondato da Matteo Renzi non cambierà rotta, assicura e avverte i dem: "Ci si vedrà dopo il voto, le alleanze si costruiranno dopo". "La verità - conclude - è che il gruppo dirigente Pd punta alla costruzione di un grande populismo nazionale".
Carlo Calenda decreta la morte del Partito democratico: "è finito, almeno per come era stato concepito, ovvero l'unione di liberaldemocratici e socialdemocratici in un grande partito a vocazione maggioritaria. è tornato a essere i Ds, ed è tornato al populismo abbracciando i 5 stelle".
Dal centrodestra, Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia prevede che l'accordo segnerà "l'addio definitivo del centrosinistra a ogni vocazione riformista, col paradosso che i riformisti di Italia Viva prendono sdegnosamente le distanze da questo patto, deprecano le alleanze locali con i grillini, ma continuano a tenere in piedi il governo nazionale. Contraddizioni destinate ad esplodere molto presto".