AGI - Il Pd torna ancora una volta in pressing sulla legge elettorale. E avverte gli alleati sul referendum: senza la riforma del sistema di voto, il taglio dei parlamentari rappresenta un "pericolo". Una sorta di avvertimento agli alleati a rispettare la parola data. E, a sorpresa, dopo giorni di chiusura totale, il leader di Iv sembra aprire uno spiraglio: discutiamone, non adesso ma discutiamone, dice Matteo Renzi.
Il segretario dem, Nicola Zingaretti, incalza le forze di maggioranza, dettando il nuovo timing: prima delle elezioni Regionali va approvata la riforma del sistema di voto alla Camera. Ma è proprio sulla tempistica che si infrangono i desiderata democratici: per Italia viva nessuna chiusura pregiudiziale a riavviare il confronto sulla legge elettorale, ma bisogna sedersi attorno a un tavolo e ridefinire la 'mission'. E, comunque, non prima delle Regionali.
Solo allora, è il ragionamento, si potranno capire gli eventuali possibili riposizionamenti delle forze del centrodestra e quindi verificare se altre forze, ad esempio Forza Italia, potrebbero venire a vedere le carte. Ma i dem insistono sull'urgenza di una nuova legge elettorale prima del referendum costituzionale. Zingaretti rinnova quindi "l'appello alla collaborazione", chiedendo che "si arrivi entro il 20 settembre a un pronunciamento di almeno un ramo del Parlamento", spiega il segretario dem, che fissa anche un paletto: il confronto deve "partire dal testo condiviso dalla maggioranza".
Il leader Pd accoglie con favore i "pronunciamenti importanti da parte del Movimento 5 stelle, da ultimo con il ministro Di Maio. Pronunciamenti che vanno tutti nel senso della volonta' di rispettare gli accordi", ma per i dem e' il momento di passare dalle parole ai fatti. Una sorta di avvertimento che non lascia indifferenti i 5 stelle, che garantiscono la tenuta del patto.
Nel Movimento, però, cresce il timore che il Pd possa sfilarsi dalla campagna referendaria e, addirittura, arrivare a non sostenere piu' il si' al taglio dei parlamentari (ipotesi che non trova conferme nel Pd). Del resto che tra i dem in diversi non condividano la riforma pentastellata non è un mistero: il sì definitivo al taglio del numero degli eletti è infatti giunto solo a suggello dell'accordo sul governo Conte II.
E solo dietro la garanzia di accompagnare il taglio con una serie di riforme costituzionali e con una legge elettorale proporzionale per 'controbilanciare' gli effetti della riduzione dei parlamentari. E di fatti, iniziano a levarsi le voci contrarie: il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, annuncia via social il suo no al referendum, ricordando che le eleggi elettorali si cambiano, quindi - in sostanza - il ragionamento del legare la riforma al taglio dei parlamentari non ha senso.Ma il Pd tornerà alla carica in conferenza dei capigruppo alla Camera (una riunione e' prevista in settimana) per avere garanzie sulla calendarizzazione della nuova legge sul sistema di voto a settembre.
Leu assicura il suo sostegno. Anche se la soglia di sbarramento, ora al 5%, va rivista al ribasso. Lo scoglio, dunque, resta Iv che, a ridosso dell'approdo in Aula della legge elettorale, ha rimesso in discussione tutto. I renziani non solo hanno tirato il freno a mano, disconoscendo l'accordo sul proporzionale, rilanciando la storica battaglia sulla legge dei sindaci, un maggioritario. Ma hanno anche liquidato il tema come una "non priorita'".
Oggi però, l'ex premier, dopo settimane di chiusura, sembra aprire uno spiraglio, pur ribadendo che le priorità sono altre. "Noi siamo sempre stati a favore del maggioritario, siamo per la legge elettorale dei sindaci, poi se altri vogliono il proporzionale, discutiamo", dice al Tg1. Il che, tradotto, significa nessuna rottura sulla riforma elettorale, ma - spiegano da Iv - non si può procedere a colpi di maggioranza, senza allargare alle opposizioni.
E i tempi, in questo, giocano un ruolo importante. Il rischio di forzare la mano e andare in Aula, e' il ragionamento che fanno anche alcuni nel Pd, che mal hanno digerito l'accordo sul proporzionale, e' che il sistema frutto dell'intesa venga affossato a suon di voti segreti.