AGI - L'intesa raggiunta in extremis tra maggioranza e opposizioni sulla par condicio (e sullo stop alla modifica delle leggi elettorali regionali prima del voto) sblocca lo stallo e così l'Aula della Camera, in poche ore, termina l'esame del decreto Elezioni, che si appresta ad incassare il primo via libera lunedì pomeriggio. Dopo il fallimento del tentativo di mediazione messo in atto in un primo momento, l'accordo viene raggiunto nella mattinata di giovedì, e Fratelli d'Italia interrompe l'ostruzionismo che aveva rallentato i lavori dell'Aula, facendo slittare di alcuni giorni il voto.
Cosa prevede l'accordo
L'intesa, tradotta in un emendamento approvato all'unanimità, mira a garantire la giusta rappresentanza in tv di tutte le forze politiche, senza alcun vantaggio in particolare per i governatori uscenti. La norma in questione prevede infatti che "per le consultazioni elettorali e referendarie dell'anno 2020, le disposizioni" della legge sulla par condicio "si applicano in modo tale da evitare posizioni di svantaggio rispetto all'accesso ai mezzi di informazione e per la comunicazione politica durante le campagne elettorali e referendaria, in relazione alla situazione epidemiologica derivante dalla diffusione del Covid-19".
Ma la mediazione che ha sbloccato l'impasse riguarda anche lo stop ad alcuni governatori uscenti - o alle maggioranze che li sostengono - sul tentativo di modificare le leggi elettorali in vigore. è il caso, ad esempio, delle Marche, dove si vuole introdurre il doppio turno, attualmente non previsto.
Infine, arriva dal governo una tiepida apertura (con l'ok a un ordine del giorno di Forza Italia) su un rinnovato confronto con i comitati referendari sulla data della consultazione popolare, che i promotori del referendum non vogliono sia accorpata - come ora prevede il testo del decreto - alle elezioni amministrative.
Il ruolo del ministro Lamorgese
Ma a stemperare il clima teso che si era registrato nei giorni scorsi tra maggioranza e opposizioni è stata anche la presenza in Aula del ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, richiesta a gran voce dalle opposizioni e, in modo specifico, da FdI.
Le parole del titolare del Viminale, tuttavia, non hanno sciolto tutti i nodi, tanto che le forze di centrodestra, nel tornare a lamentare l'assenza di un vero dialogo con le opposizioni, hanno ribadito tutte le loro criticità, a partire dalla data ipotizzata per l'election day, il 20 e 21 settembre, invitando il governo a rivedere le sue posizioni in sede di esame al Senato.
Lamorgese non ha fatto alcun riferimento a una data precisa, limitandosi a ricordare quanto prevede il decreto stesso, ovvero una finestra elettorale che parte dal 15 settembre, valida - grazie a un emendamento di FI approvato dall'Aula con l'astensione della Lega e il voto contrario di FdI - anche per le elezioni Regionali.
Ma cinque delle sei Regioni che torneranno al voto in autunno (Veneto, Liguria, Marche, Campania e Puglia) continuano a chiedere di poter votare prima, domenica 6 settembre. Al momento, però, il governo e la maggioranza restano fermi sulla data del 20 settembre. Tanto che la ministra ha pubblicamente auspicato "si individui una data che rappresenti un punto di equilibrio, una data che ritengo auspicabilmente unitaria".