AGI - “Chi avrà il coraggio civile e la responsabilità istituzionale di dire, quando si potrà, che lo stato d’emergenza è finito e che si può ritornare a una vita davvero normale?” Se lo chiede in un intervento su Corriere della Sera Walter Veltroni.
”Ci è voluto molto tempo, troppo tempo, per percepire la penetrazione del virus tra noi" seguita Veltroni "e molto per decidere, giustamente, di determinare, attraverso il lockdown, quella barriera alla diffusione del contagio che ha, evidentemente, funzionato”.
“Da settimane, ormai, la velocità della curva dell’epidemia ha dapprima rallentato e ora sembra quasi essersi arrestata” ma “non bisogna abbassare la guardia, il virus può ripresentarsi in autunno o in inverno” sostiene ancora Veltroni che però si chiede anche: “Ma quale è il momento in cui qualcuno deciderà che si può tornare a lavorare, intraprendere, imparare e insegnare, relazionarsi con gli altri secondo quella 'normalità' della vita umana che non può essere considerata un’anomalia o un pericolo ma, semplicemente, il primo obiettivo da riconquistare?” perché “non è naturale usare le mascherine, non darsi la mano, non abbracciarsi, non poter condividere un luogo di lavoro, una classe scolastica o un evento culturale”.
E se il Paese ha accettato tutto questo “con ben maggiore senso di responsabilità di quello mostrato da uomini politici che convocavano manifestazioni senza nessuna cura delle precauzioni rese necessarie” si deve immaginare anche “cosa questa frase produce in cittadini che vivono una così radicale trasformazione del modo di vivere”.
“Questa non può essere la normalità” asserisce Veltroni, che aggiunge: “Ma, diciamoci la verità, molti virologi, epidemiologi, clinici di varia natura e orientamento hanno confessato onestamente la verità: questo virus, nella sua violenta e bruciante manifestazione, segue percorsi difficilmente prevedibili e spiegabili”.
Secondo Veltroni, pertanto, la domanda è: fino a quando? Fino a quando, in presenza di una tendenza al 'contagio zero' si potrà tenere il Paese in ginocchio, le persone terrorizzate di perdere il lavoro, i bambini a scuola separati dal plexiglas e tutti impossibilitati a vivere una vita normale?”
E la risposta che si dà è che “ci deve essere una scadenza. Senza forzature irresponsabili ma con la chiarezza dell’obiettivo. E, se possibile, in un clima civile come quello auspicato da Mattarella. Con la certezza che al momento dato, forse tra poco, qualcuno abbia il coraggio di decidere”, perché conclude “bisogna, da parte delle istituzioni, garantire ai cittadini l’onestà civile che muove le decisioni più difficili. Si deve assicurare che non si rinvierà per pavidità o furbizia politica”. Restituendo “presto agli italiani il diritto di vivere una vita normale”, anche perché “non si rimette in piedi un paziente morto”.