Il mondo della giustizia è di nuovo scosso dallo scandalo che lo investì lo scorso anno e nuovamente si parla di riforma del Csm. Giulio Vigevani, docente di diritto costituzionale all'Università Milano Bicocca, all'AGI spiega innanzitutto che giustamente Sergio Mattarella non interviene formalmente nella vicenda: "Il Presidente della Repubblica non ha il potere di scioglimento in questo momento, alle condizioni date, ed è del tutto evidente che essendo un raffinato costituzionalista sa di non poter esercitare questo potere".
Infatti "lo scioglimento è previsto dalla legge istitutiva del Csm solo in conseguenza delle dimissioni della metà più uno dei togati e non è questo il caso. Giustamente Mattarella non può sciogliere il Consiglio superiore della magistratura, confermando l’impostazione già assunta un anno fa. Non ci sono fatti nuovi relativi agli attuali componenti del Csm che possano determinarne la decadenza. Il provvedimento di scioglimento, che è eccezionale, non è del Presidente della Repubblica in quanto presidente del Csm ma in quanto Capo dello Stato". Si tratta inoltre di "una procedura complessa, che prevede il coinvolgimento dei presidenti delle Camere e del Comitato di presidenza, può essere attuato solo a determinate condizioni che non vi sono in questo momento".
Quale riforma?
Sgombrato il campo da questo tema, richiamato anche ieri dal Quirinale, il dibattito si sposta sulla riforma del Csm, invocata da tutti i partiti, un anno fa come ora, e riproposta lunedì dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.
Per Vigevani "la riforma del Csm è come la riforma della Rai: due riforme che ciclicamente sono all’ordine del giorno ma sono tra le più difficili da realizzare". Nel merito, per il costituzionalista "una riforma che conduca a un sistema in cui sia preponderante il sorteggio viola la normativa costituzionale che prevede l’elezione del Csm. Vi sono invece molte proposte di riforma che tendono a territorializzare l’elezione dei componenti togati, soprattutto individuando collegi più piccoli e collegi nei quali i magistrati possono scegliere persone più conosciute e con più radicamento". Certo il "rischio sarebbe di avere una minore rappresentazione delle idee, che ora tutti chiamano correnti" ma che senza il vulnus delle recenti degenerazioni "rappresentavano visioni diverse e legittime della giustizia".
Dunque per Vigevani "una riforma che agganci di più al territorio, con collegi piccoli sulla logica di quelli uninominali, e magari con un riequilibrio proporzionale delle aree, ma che mantenga il principio elettivo, potrebbe essere una soluzione. Questo modello potrebbe togliere alle correnti quel che delle correnti non deve essere, e cioè una sorta di funzione da ufficio di collocamento, lasciando loro però il ruolo originario di rappresentazione delle diversità di ispirazione dei magistrati".