Contro la crisi? Impegnare i gioielli di famiglia. Ovvero, “se l’Europa non ci aiuta il premier Conte ha detto che faremo da soli. Ma siccome nessun prestito ci verrà mai concesso senza garanzie, per far fronte al nostro fabbisogno straordinario senza far esplodere il debito pubblico potremmo dare in garanzia il patrimonio immobiliare di proprietà statale”.
Lo propone in un’intervista a la Repubblica il senatore e tesoriere del Partito democratico Luigi Zanda, il quale afferma che la garanzia potrebbe essere costituita “almeno per la parte costituita dagli edifici che ospitano uffici, sedi delle grandi istituzioni, ministeri, teatri, musei...”, come lo possono essere ad esempio Montecitorio, sede dell’Assemblea, e Palazzo Chigi, sede del governo.
“Siamo in guerra. E poi parliamo di garanzia, non di vendita”. Perché i beni a cui Zanda si riferisce a “beni già iscritti nel bilancio dello Stato per un valore che si aggira intorno ai 60 miliardi” ai quali poter aggiungere anche “i beni degli enti locali e delle regioni, che sono censiti solo parzialmente e secondo alcuni valgono circa 300 miliardi”.
Per poi domandarsi “se si possa far rientrare anche il demanio non strategico né militare, facendolo concorrere al grande sforzo che attende il Paese”. E poi ci sono i porti e gli aeroporti. Secondo l’esponente dem si tratta di “una vecchia tesi che può tornare attuale” e quanto alle “tecnicalità possono essere risolte in vario modo, ovvero dove potrebbero finire questi beni, se in un fondo o altro, ma “l’importante – conclude – è esaminare la fattibilità in termini politici e istituzionali”, per poi affermare: “meglio dare in garanzia il nostri immobili pubblici anziché affidarsi alla Troika. Che vorrebbe dire cessione di sovranità”.