Rivendica i risultati raggiunti ma accusa il governo di scarso coraggio per non aver trovato nella Legge di Bilancio le risorse necessarie per la formazione e la ricerca. Conferma il sostegno in un esecutivo che "può fare ancora molto e bene per il Paese" e assicura che continuerà il suo impegno per la scuola e i giovani nelle aule del Parlamento, ma non dice se lo farà nel Movimento 5 stelle o in un altro gruppo, come vogliono i 'rumour' che si rincorrono da giorni. Lorenzo Fioramonti spiega su Facebook le ragioni che lo hanno spinto a rimettere l'incarico di ministro dell'Istruzione ricevuto il 4 settembre scorso e sprona gli studenti "a non arrendersi alla politica del 'non si può fare'".
La decisione, spiega il 42enne deputato romano, l'ha comunicata al premier Giuseppe Conte la sera del 23 dicembre, mentre la Camera era impegnata nell'ultimo via libera alla manovra. "Le ragioni sono da tempo e a tutti ben note", scrive Fioramonti, "ho accettato il mio incarico con l'unico fine di invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza. Mi sono impegnato per rimettere l'istruzione al centro del dibattito pubblico, sottolineando quanto, senza adeguate risorse, fosse impossibile anche solo tamponare le emergenze che affliggono la scuola e l'università pubblica. Non è stata una battaglia inutile e possiamo essere fieri di aver raggiunto risultati importanti".
L'ormai ex ministro elenca i traguardi superati: "Lo stop ai tagli, la rivalutazione degli stipendi degli insegnanti (insufficiente ma importante), la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei, un approccio efficiente e partecipato per l'edilizia scolastica, il sostegno ad alcuni enti di ricerca che rischiavano di chiudere e, infine, l'introduzione dell'educazione allo sviluppo sostenibile in tutte le scuole (la prima nazione al mondo a farlo)".
Per Fioramonti, però dal Governo "sarebbe servito più coraggio per garantire quella 'linea di galleggiamento' finanziaria di cui ho sempre parlato, soprattutto in un ambito cosi' cruciale come l'università e la ricerca".
Tre miliardi di euro, due per la scuola e uno per l'università, questa era la richiesta presentata ancor prima di giurare al Quirinale.La tassa sulle merendine e il no al crocifisso nelle classi scolastiche: sono due delle proposte lanciate dal 42enne ministro romano che hanno scatenato aspre polemiche. La prima - che aveva l'intento di trovare risorse in favore dei precari della scuola - venne bocciata nel giro di poco tempo dalla sua stessa maggioranza e anche dal leader del Movimento, Luigi Di Maio.
Sull'opportunità di togliere dalle aule tutti simboli religiosi, invece, venne criticato anche dal Pd, socio di governo del suo partito. Professore di economia politica all'università di Pretoria in Sud Africa, l'ormai ex ministro dell'Istruzione in un'intervista in tv si è recentemente definito "progressista con una cultura ecologista e ambientalista". Nel Movimento ha sollevato più di una critica quando si è pronunciato contro il vincolo di mandato, uno dei punti qualificanti del programma grillino.
Nella sua lettera aperta pubblicata sui social Fioramonti rivendica con fierezza i successi ottenuti in poco più di cento giorni di mandato al ministero. "Lo stop ai tagli, la rivalutazione degli stipendi degli insegnanti (insufficiente ma importante), la copertura delle borse di studio per tutti gli idonei, un approccio efficiente e partecipato per l'edilizia scolastica, il sostegno ad alcuni enti di ricerca che rischiavano di chiudere e, infine, l'introduzione dell'educazione allo sviluppo sostenibile in tutte le scuole (la prima nazione al mondo a farlo)". Ma i tre miliardi che chiedeva, nella manovra non ci sono.