Con un commento il prima pagina de Il Messaggero di cui è collaboratore, Romano Prodi, già commissario europeo e presidente del Consiglio, entra con i piedi nel piatto della polemica che ha scatenato il putiferio politico sui tortellini con la carne di pollo anziché di maiale per venire incontro alle esigenze di chi non può mangiarne per motivi di diverso ordine e grado.
Non poteva mancare “un’occasione più ghiotta – osserva Prodi – perché la politica si intromettesse subito nella guerra dei tortellini” imputando agli organizzatori “il duplice sacrilegio di avere profanato la nostra tradizione religiosa per compiacere gli islamici e la nostra tradizione culinaria per avere espulso il maiale da tutti i tortellini e non solo dai quattro o cinque chili previsti”.
E mentre gli chef bolognesi “si sono affrettati ad approfittare della pubblicità dell’accaduto per sottolineare come nel loro locale da decenni si servano tortellini di diversissima natura”, a livello popolare – osserva ancora Prodi – “la vera disputa si è spostata sul fatto che si potesse servire anche a coloro che sono diversi da noi un piatto che si chiama con un nome (tortellino) che riteniamo legato alla nostra esclusiva identità”.
Per Prodi, tuttavia, “resta il discorso serio di come il messaggio politico dell’impossibilità di integrazione sia penetrato in tanta parte di noi così profondamente da coinvolgere anche gli aspetti del tutto assurdi dei nostri rapporti con gli altri”, ciò che fornisce anche la spiegazione “del perché Salvini, pur di fronte alla molteplicità e alla gravità dei problemi della società italiana, continui a insistere quasi esclusivamente sulla paura dell’immigrazione”.
Secondo l’ex commissario europeo e premier italiano, resta perciò aperto il problema di come fare avanzare il necessario processo di integrazione dei milioni di emigranti “che sono ormai un elemento indispensabile per l’elementare funzionamento della nostra società”.
E che non si tratta infatti di rinunciare alla necessaria regolamentazione del fenomeno migratorio “ma, più semplicemente, di tenere presente che non è di scarsa importanza il garantire agli italiani e agli stranieri la stessa libertà di scelta sul ripieno dei tortellini”. Tanto più che, in fondo, gli immigrati “mangiando con noi i tortellini, finiscono con il fare propria una parte della nostra tradizione”.