"Lascio il Pd e sarà un bene per tutti. Anche per Conte". Matteo Renzi, in un'intervista a Repubblica, conferma l'abbandono al partito guidato da Nicola Zingaretti con la conseguente formazione dei gruppi parlamentari al Senato e alla Camera. Gruppi, ha ribadito l'ex premier, che saranno fedeli al governo giallorosso e a Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio ha ricevuto, ieri, la chiamata da parte di Renzi in cui veniva anticipata la decisione e quali sarebbero state le dirette conseguenze.
E ora sono i nomi a rimbalzare da un giornale all'altro, da un corridoio all'altro. Chi seguirà Renzi nella nuova avventura politica? I primi numeri, secondo quanto scrive Repubblica, raccontano di una ventina di deputati a Montecitorio, con la creazione di un gruppo parlamentare nuovo, e di una decina a Palazzo Madama, con il passaggio, per ora, al gruppo misto.
I renziani alla Camera
Quelli che sembrano sicuri del cambio di casacca sono Maria Elena Boschi, Gennaro Migliore, Ivan Scalfarotto, Michele Anzaldi, Roberto Giachetti, Silvia Fregolent, Marco Di Maio, Anna Ascani, Luciano Nobili, Luigi Marattin, Lucia Annibali, Mattia Mor, Nicola Carè, Massimo Ungaro. Capo delegazione sarebbe Ettore Rosato.
I renziani al Senato
In questo caso i senatori pronti a spostarsi sono Francesco Bonifazi, Teresa Bellanova (che sarà capo-delegazione all'interno del governo giallorosso), Tommaso Cerno, Davide Faraone, Eugenio Comenicini, Nadia Ginetti, Ernesto Magorno, a cui si aggiunge la ex forzista Donatella Conzatti.
I renziani che (per ora) restano nel Pd
Da Luca Lotti a Lorenzo Guerini, passando per il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci. Sono diversi i politici che, pur appartenendo alla corrente renziana, sembrano ancora resistere alle sirene del cambiamento. Una scelta che hanno preso anche i sottosegretari Morani e Malpezzi. Stessa cosa anche per alcuni esponenti politici esterni al mondo romano ma legati alla figura di Renzi: uno per tutti Dario Nardella, sindaco di Firenze, che ha provato a dissuaderlo senza riuscirci: "Resto, serve un partito unito".
Intanto arrivano le prime reazioni dei leader democratici. Franceschini è stato il più duro: "Nel 1921-22 la litigiosità e le divisioni dentro ai partiti li resero deboli sino a far trionfare Mussolini". Zingaretti, invece, ha affidato il suo commento a Twitter, ribadendo la necessità di una nuova agenda e, soprattutto, di un nuovo Pd. Che sarà, quindi, senza l'ingobrante figura di Matteo Renzi.