Mentre infuria lo scontro tra Di Maio e Zingaretti sul programma di un possibile governo giallorosso, Liberi e uguali, che aveva mostrato disponibilità ad appoggiare un Conte bis durante le consultazioni, chiede di essere invitata al tavolo, altrimenti non voterà la fiducia. Un forfait che potrebbe avere conseguenze significative, dato che, se alla Camera Pd e M5s hanno da soli una maggioranza abbastanza confortevole, al Senato anche i quattro senatori della formazione di sinistra, che siedono nel Gruppo Misto, potrebbero risultare fondamentali.
La capogruppo al Senato, Loredana De Petris, e il suo collega della Camera, Federico Fornaro, hanno ricordato che "i governi di coalizione si fondano su programmi condivisi e sulla pari dignità dei gruppi parlamentari che compongono la maggioranza". Pertanto, prosegue la nota congiunta, "è evidente che se il programma del nuovo governo viene scritto a quattro mani tra M5s e Pd, il perimetro della nuova maggioranza risulterà differente da quello che è uscito dalle consultazioni del Presidente della Repubblica e con il presidente incaricato".
Il giorno dopo si è fatto sentire su Twitter il leader del partito, Pietro Grasso, che nel totoministri era stato dato come possibile ministro della Giustizia. "Da giorni le interlocuzioni sul programma del governo di svolta sono esclusivamente tra Pd e M5s", scrive l'ex presidente del Senato, e "a questo si aggiungono le ultime polemiche, e i dubbi aumentano". "Evidentemente l'intenzione è fare da soli, sia al governo che in Senato: altro che svolta!. Auguri e buon lavoro!", conclude Grasso.
Fonti di Palazzo Chigi hanno fatto quindi sapere che il Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, ha ricevuto da Leu un documento - contenente i contributi programmatici del partito - poi distribuito alle delegazioni presenti nell'incontro di oggi a Palazzo Chigi. Ci sono già stati contatti telefonici e, prossimamente, ci saranno anche incontri, aggiungono le fonti.
I numeri al Senato
Sulla base dell'esito delle consultazioni, Giuseppe Conte a Palazzo Madama potrebbe contare sicuramente su 106 senatori pentastellati (Gianluigi Paragone ha già annunciato che non voterà la fiducia) e sui 51 del Pd. In totale fa 157. Per la maggioranza ne servono 161. Contando i tre delle Autonomie, che hanno assicurato l'appoggio, si arriva a 160. Restano gli undici del gruppo misto: cinque ex M5s fuoriusciti, Emma Bonino di +Europa, il socialista Riccardo Nencini e i quattro di Liberi e Uguali.
Di costoro l'unica che finora ha sospeso il giudizio è Bonino. Contando gli altri dieci, si arriverebbe a 170. Se Leu si sfilasse, si scenderebbe a 166. Il margine della maggioranza al Senato si assottiglierebbe quindi a un livello tale da renderla maggiormente vulnerabile ai malcontenti di quegli esponenti di M5s e Pd che già non hanno accolto con troppo entusiasmo il connubio giallorosso. Perché a Palazzo Madama, con i sistemi elettorali attuali, ogni voto conta. E anche i gialloverdi se ne erano accorti presto.