A due giorni dalla capigruppo di Palazzo Madama che sancirà l'inizio della battaglia parlamentare su tempi e modi della crisi, nel Pd le posizioni su come affrontare questo snodo appaiono allo stato eterogenee. Se Nicola Zingaretti prosegue nella linea che chiede il voto subito, altri nel partito, a cominciare dai renziani, non esclude l'ipotesi di un governo di scopo per sventare l'aumento dell'Iva, con l'obiettivo di votare subito dopo, nel 2020.
In apertura di giornata, è stata la vice segretaria Paola De Micheli a ribadire la linea ufficiale del partito, affermando a chiare lettere che l'unica opzione in campo, per Zingaretti, sono le elezioni anticipate: "Non esistono le condizioni politiche - ha spiegato - per un altro governo, almeno con il Pd". Per corroborare il proprio ragionamento, la De Micheli ha battuto su un tasto su cui tutti i componenti del gruppo dirigente del Nazareno stanno insistendo da quando e' esplosa la crisi, e cioè il documento approvato nell'ultima direzione alla fine di un pressing vittorioso operato proprio dai renziani e da Carlo Calenda, che escludeva in modo perentorio qualsiasi eventualità di una collaborazione coi penstastellati e l'alternativa ad elezioni, in caso di caduta del governo gialloverde.
Nonostante ciò, e nonostante la sdegnosa replica di Matteo Renzi a Salvini all'accusa di "inciucio" coi Cinquestelle, nel Pd la linea propugnata dal segretario non sembra godere di un consenso granitico. Al contrario, gli esponenti non di stretta obbedienza zingarettiana della maggioranza sembrano guardare favorevolmente all'ipotesi di un governo di transizione che allontani Matteo Salvini dal Viminale e metta i conti in sicurezza, in vista della sessione di bilancio. Tra questi, è venuto allo scoperto l'ex-sindaco di Milano ed attuale eurodeputato Giuliano Pisapia, che in un'intervista ha dichiarato di desiderare un esecutivo "che deve rimanere in carica solo pochi mesi per lavorare su due o tre punti qualificanti".
Il renziano Luigi Marattin lo dice chiaro e tondo: "La nostra priorità è evitare l'aumento dell'Iva. Per evitarlo siamo disposti a parlare con tutti, ma con questo obiettivo per poi tornare alle elezioni".
Un Pd diviso in tre
Dunque nel Pd, allo stato, coabitano tre anime: la maggioranza zingarettiana che chiede il voto subito, i renziani che temono che il voto consegni il paese a Salvini e vorrebbero mettere in campo un'operazione più ampia e la parte non zingarettiana della maggioranza che, a priori, non esclude un dialogo con M5s, tanto che c'è chi giura di aver visto Dario Franceschini dialogare fitto fitto con Roberto Fico, anche se tutti smentiscono. C'è infine anche chi è pronto a garantire che i fautori del voto "non subito" o "non a tutti i costi" siano, all'interno dei gruppi parlamentari, maggioranza rispetto a chi la pensa come Zingaretti: "Con Di Maio un governo non possiamo farlo - osserva un esponente leale al segretario - ma il 75% del Parlamento non vuole il voto anticipato. Servirebbe un progetto politico che non si riduca a non far andare Salvini al voto".
Il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, inoltre, in un'intervista al Mattino, riponendo piena fiducia nel Capo dello Stato, ha implicitamente sollevato un tema che sta facendo breccia su molti parlamentari del Pd, e cioè quello di organizzare una strategia politica capace di evitare che un Parlamento sovranista scelga il prossimo inquilino del Quirinale.