Cinquantuno minuti e trenta secondi in cui Giuseppe Conte si è rivolto al Paese per "tutelare la sua personale credibilità". Così fonti governative di entrambi i partiti di maggioranza leggono la conferenza stampa del presidente del Consiglio. Nella sala dei Galeoni di Palazzo Chigi - è il ragionamento che viene fatto in ambienti M5s e Lega - il premier ha parlato più per difendere se stesso e la sua immagine davanti ai cittadini che per 'salvare' il governo.
Un gesto più mediatico che politico - viene criticato - che non è detto produca effetti positivi sul governo, avendone fatte emergere plasticamente le fragilità, nell'appello ai due vice premier Matteo Salvini e Luigi Di Maio chiedendo loro di confermare la volontà di andare avanti. Anche la 'minaccia' di rimettere il mandato al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la dichiarazione che non intende "vivacchiare o galleggiare", appare, ai più critici dei due partiti, come un messaggio dal valore più personale che collettivo e non certo dai 'toni ultimativi'.
Da entrambe le formazioni, poi, si sottolinea come l'avvocato 'prestato' alla politica - che ha sviato parlando del posto di allenatore della Roma a chi gli chiedeva se è disposto a correre con una sua lista - abbia deciso di convocare la conferenza stampa non condividendo con alcuno la mossa.
"Non si fida di nessuno, non ne ha parlato con nessuno, neanche con i comunicatori: ha fatto tutto da solo", è quanto si lamenta nei corridoi di Palazzo Chigi. Ora occorre vedere come, dopo i ballottaggi, i due vice premier risponderanno in concreto a questo appello per un cambio di rotta e un ritorno al clima della 'fase 1' pre-elettorale preteso da Conte.
Al momento il primo appuntamento governativo è per venerdì, quando si dovrebbe tenere il Consiglio dei ministri, mentre non è ancora fissato alcun vertice politico prima dei ballottaggi di domenica. Il Quirinale, dal canto suo, attende che le forze politiche rispondano alla sollecitazione del premier chiarendo se intendono proseguire o meno a sostenere l'esecutivo.
Intanto, la risposta ufficiale - anche se affidata ai social - dei due vicepremier non si fa attendere, ma entrambi mettono nero su bianco le rispettive 'liste della spesa', con le priorità da realizzare nei prossimi mesi. Di Maio, in difficoltà dopo il crollo elettorale alle Europee ma riconfermato alla guida del Movimento con l'80% del voto degli iscritti a Rousseau, ha replicato al discorso di Conte sostenendo che il M5s intende andare "avanti con lealtà e coerenza", e tornando a chiedere "un vertice di governo" già domani per discutere di revisione vincoli europei, flat tax, salario minimo e aiuti alle famiglie.
Il tema è più che altro la 'tenuta' del suo Movimento alla forza travolgente di Salvini che sembra non fermarsi davanti a nulla con la Lega al 34%. I sospetti maggiori ricadono, dunque, sul 'capitano' leghista. Nel M5s - ma lo ha detto chiaramente anche Conte in conferenza stampa - il timore è che Salvini voglia "incassare" il successo delle europee e tramutarlo in numeri in Parlamento, andando alle politiche anticipate. Il leader lumbard, però, rifiuta, dal giorno dopo l'esito del voto, questa ricostruzione, ammettendo che potrebbe essere lo scenario più conveniente per lui ma negando di lavorare per far cadere il governo.
Dalla Lega si conferma questa impostazione: siamo pronti ad andare avanti ma non arretriamo sui temi dell'agenda, si sottolinea. In un 'post' su Facebook, diffuso mentre Conte ancora stava parlando, Salvini ha risposto all'appello del premier, con tono forse un po' sprezzante: "Noi non abbiamo mai smesso di lavorare, evitando di rispondere a polemiche e anche insulti, e gli italiani ce lo hanno riconosciuto con 9 milioni di voti domenica".
"L'Italia dei 'sì'' è la strada giusta. Flat Tax e taglio delle tasse, riforma della giustizia, decreto sicurezza bis, autonomia regionale, rilancio degli investimenti, revisione dei vincoli europei e superamento dell'austerità e della precarietà, apertura di tutti i cantieri fermi", sono le priorità da lui indicate. Il timore dei 5 stelle è, appunto, di rimanere prigionieri del 'racconto' costruito dal segretario leghista che li dipinge come "l'Italia dei 'no'".
L'altra paura è quella di rimanere nell'angolo, triturati dal cresciuto protagonismo del ministro dell'Interno. "Salvini si sente Dio, vuole incassare e continuare a crescere, dipingendoci come quelli che ostacolano tutto, i cantieri, la Tav, gli investimenti alla difesa - ragionano fonti governative M5s -. è in una posizione di forza, comunque vincente. Se non usciamo dall'angolo la scelta è se essere fagocitati da lui o andare al voto e farlo governare da solo. Quasi quasi è meglio la seconda: così poi vediamo cosa combina". A tutti i livelli istituzionali ormai è chiaro che fino ai ballottaggi non ci saranno novità di rilievo e che la settimana della verità sarà quella successiva.