Di gif su Salvini ne giravano già parecchie. C’era quella che lo vedeva condurre una ruspa (cosa che poi farà sul serio, dopo gli opportuni corsi, per demolire un edificio appartenuto ai Casamonica). C’era quella, dalle infinite varianti, che lo vedeva ballare sulle note di “Andiamo a comandare”. E oggi ci sono anche quelle ufficiali, tutte corredate dal banner ‘Salvini official’ e scaricabili dal sito ufficiale della campagna per il 4 marzo nonché da un canale Giphy apposito. Brevi immagini animate buone per ogni conversazione social, anche se la politica non è l’oggetto della discussione.
Resistere alla tentazione di utilizzarle può essere difficile anche per chi non è elettore della Lega. Un utente particolarmente ottuso non riesce a capire il vostro punto? C’è la gif di Salvini in posa zen sovrastato dalle parole “santa pazienza”. Qualcuno vi ha risposto con un’assurdità tale da non meritare repliche? C’è la gif di Salvini che alza gli occhi al cielo con la scritta “roba da matti”. Volete semplicemente congedarvi dall’interlocutore? C’è quella dove il “capitano” manda un “bacione”.
I meme sono una cosa seria
Già le dirette Facebook con le quali il ministro dell’Interno si rivolge direttamente ai cittadini erano state una rivoluzione nel campo della comunicazione politica, un livello di disintermediazione senza precedenti e incomparabile con l’uso compulsivo di Twitter del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che a volte incorre in gaffe (non tanto di contenuto quanto di metodo) degne di un parente attempato che ha appena aperto un profilo. L’idea, anch’essa del tutto inedita, delle gif ufficiali va ancora oltre, dimostrando come il responsabile della comunicazione di Salvini, Luca Morisi, abbia una conoscenza delle attuali dinamiche di internet molto più profonda dei suoi colleghi.
La stragrande maggioranza degli altri addetti ai lavori guarderà ai meme con sufficienza. Morisi ha invece tutta l’aria di uno che su 4chan trascorre, o ha trascorso, molto tempo, di sicuro abbastanza da capire come negli Stati Uniti i meme siano stati un canale di diffusione per il messaggio della destra sovranista forse ancora più potente dei comizi e dei talk show di Fox News. La differenza è che gli altri politici queste dinamiche le subiscono.
Quando Donald Trump Jr. caricò un meme di suo padre nei panni di “Pepe la rana”, esponendosi a una selva di polemiche, era molto probabile non sapesse che quel personaggio dei fumetti, un tempo innocuo, era diventato nel frattempo il simbolo della alt-right, quella congrega virtuale di suprematisti bianchi, attivisti di destra veri o presunti e troll puri e semplici che si dà appuntamento sulle board /pol/ di 4chan e 8chan o, per i più duri e puri, nella sezione commenti di The Daily Stormer, il seguitissimo blog neonazista il cui fondatore, Andrew Anglin si vanta (non del tutto a sproposito) di aver mandato Trump alla Casa Bianca a “colpi di meme”.
La stessa Giorgia Meloni, che pure in occasione dell’ultima edizione di Atreju è ricorsa ai meme con risultati non disprezzabili, quando condivide le sue caricature in stile manga pescate da /pol/ non sa forse benissimo che quelle immagini apparentemente innocue fanno parte di una colossale operazione di propaganda politica dal basso, in parte acefala ma non per questo meno efficace.
Questione di "layers"
Salvini, invece, cavalca la tigre. Anche lui su 4chan è una star, anzi è il “memelord”, il signore dei meme, come lo chiamano gli ‘Anonymous’ di /pol/. Il suo stile informale e popolaresco lo rende perfetto per queste operazioni, perché Donald Trump sarà pure un personaggio non convenzionale ma non lo vedrete mai al mare mentre imbraccia una pistola ad acqua. Se il presidente degli Stati Uniti, magari nei panni di “Dio imperatore”, è un protagonista involontario della memesfera, Morisi sembra padroneggiare alla perfezione i suoi meccanismi. A partire dai cosiddetti “layers”. Ovvero gli “strati” di ironia. E sono proprio le gif a dimostrarlo.
La forza dei meme è la loro sostanziale ambiguità. In quelli politici di matrice alt-right il confine tra serio e faceto non è labile, è pressoché inesistente. Per dirla ancora con Anglin, si ha “un messaggio non ironico travestito da messaggio ironico travestito da messaggio non ironico”. E così via. I layers, appunto. Le gif di Salvini sono ironiche, divertenti, tanto da poter essere usate anche da utenti non schierati ma, nondimeno, sono una cosa serissima. Anche chi li inoltra per scherzo si fa canale di trasmissione di un messaggio politico che non ha nulla di estemporaneo.
Non solo. Chi ha simpatia per Salvini ma magari non vuole manifestarlo perché non è “politicamente corretto” li può utilizzare come reazioni facendo finta di scherzare ma sapendo benissimo di fare, nel suo piccolo, l’agit-prop. Gli “strati di ironia” di cui si diceva prima. Le possibilità di diffusione che le applicazioni di messaggistica consentono alle gif fanno il resto, garantendo una viralità ancora superiore a quella di un semplice post su Facebook.
Fin qui, però, si parlerebbe solo di un’importazione, sia pur di successo, di schemi nati altrove. Morisi, invece, è andato ancora più oltre ed è riuscito non solo a ritagliare la dinamica dei meme su misura di un pubblico del tutto generalista ma a educare a percepirla anche il navigatore più sprovveduto, il vituperato "cinquantenne su internet" che condivide buongiorni e caffè. E anche questa, a suo modo, è una rivoluzione.
Nella “memesfera” tradizionale c’è infatti una netta demarcazione tra chi comprende i risvolti nascosti di quelle immagini e gli esecrati “normies” che mai le capiranno. Le gif di Salvini no: a discettare dei “layers” resteranno gli specialisti ma il loro primo requisito è l’immediatezza. Niente codici segreti, per garantire una diffusione che possa toccare praticamente chiunque.
Altra grande differenza: le gif di Salvini non hanno un contenuto troppo provocatorio. Anche quando il tema è forte (“Hai vinto 10 migranti a casa tua!”), il registro è in bilico tra l’aggressivo e il bonario. La strategia comunicativa ha, quindi, sempre lo stesso fil rouge: il cosiddetto “buonsenso” che il vicepremier rivendica anche quando alza i toni e usa qualche maiuscola di troppo. Le persone normali, è il messaggio, si rivolgono a lui, non ai "professoroni" dipinti come estranei alla realtà.
La scuola di Radio Padania
Questo saper tenere il polso della gente comune è forse in parte un talento naturale ma le sue radici vanno nella lunga esperienza, iniziata nel 1997, come direttore di Radio Padania, come sottolineano, nell'ebook 'del 2015 Matteo Salvini - Il Militante', i giornalisti Alessandro Franzi (Ansa, Linkiesta) e Alessandro Madron (Il Fatto Quotidiano).
"Comunicare in modo chiaro era già una priorità. Provocare, pure. La trasmissione degli esordi, alla fine degli anni Novanta, si chiamava 'Mai dire Italia' - racconta a Franzi e Madron il veccho militante Leo Siegel - Faceva il verso alla fortunata trasmissione televisiva della Gialappa’s band, 'Mai dire gol', sul mondo del calcio. A Radio Padania si sfottevano le storture italiane, usando l’altro sport nazionale: la politica. Il verbo antipatriottico e antimondialista della Lega Nord veniva così condito con la satira e il politicamente scorretto. Il motto prima gli italiani era ancora lontanissimo da venire".
"A condurre “Mai dire Italia” c’era lo stesso Salvini, che stava diventando la voce principale dell’emittente che trasmetteva da via Bellerio e sognava l’avvento della Padania libera. Insieme a lui altri giovani che iniziavano a farsi conoscere, come Massimiliano Romeo, futuro capogruppo al Consiglio regionale della Lombardia. “Chiunque poteva chiamare e dire tutto quello che voleva - prosegue Siegel -. Eravamo quattro ragazzotti che andavano in radio a fare i pirla. La trasmissione ebbe però un successo tale che la facevamo quasi tutta la settimana, dovevamo dividerci i turni. Mi ricordo che una volta capitò di andare in onda anche il giorno di Natale, ci chiamavano in diretta per farci gli auguri”.
L'attacco al mondialismo, l'amore per il politicamente scorretto, i toni diretti fino all'eccesso. Le caratteristiche della propaganda salviniana erano già tutte lì. Il messaggio, nel frattempo e cambiato, dalla 'Padania Libera' a 'Prima gli italiani', per l'appunto. La sostanza, nondimeno, è molto simile. Se la destra sovranista tende a richiamarsi a un passato mitico, quello evocato dalla comunicazione di Salvini (ovvero, quello che Salvini promette ai suoi elettori di far rivivere) è un passato alla portata di tutti, in cui tutti avevano meno problemi, un mondo un po’ strapaesano che sembra uscito da un brano degli 883, quello di un ragazzo qualsiasi degli anni '80, fatto di bar, sala giochi, comitiva e squadra del cuore.
Poi quel ragazzo è diventato il politico più potente del Paese e il leader occidentale con più ‘mi piace’ su Facebook in assoluto. Non solo perché si è trovato al posto giusto nel momento giusto ma perché si è ritrovato con le capacità giuste in una fase nella quale la stragrande maggioranza dei politici non è attrezzata per comprendere le dinamiche comunicative imposte da internet, un filo diretto con i sostenitori che era lo stesso di Radio Padania. A cambiare sono il mezzo e la dimensione della platea. Come avvertiva ancora Morisi, non c'è "nessuna Bestia" (ovvero il fantomatico algoritmo che terrebbe il polso del Paese), la Bestia è Salvini stesso.
Ha collaborato Federica Valenti