Paolo Gentiloni presidente del partito e Carlo Calenda capolista alle europee. Uno schema che, stando a quanto riferiscono fonti parlamentari del Partito Democratico, non dispiacerebbe al candidato segretario Nicola Zingaretti. Il Presidente della Regione Lazio, interpellato sulla possibilità che Carlo Calenda lasci il Pd, non ha esitato a definire l'ex ministro dello sviluppo economico una grande risorsa dei democratici.
“Un’ottima notizia”
Il tutto si inserirebbe nel lavoro di ricostruzione dello spirito unitario venuto meno dopo la catena di sconfitte subita dal Pd. "Penso che Carlo Calenda possa essere uno dei principali protagonisti della stagione che noi dobbiamo aprire in Italia", ha detto oggi Zingaretti al termine di un incontro pubblico a Roma. Il tutto inserito in un lavoro di ricostruzione di uno spirito unitario venuto meno negli ultimi anni, soprattutto dopo la catena di sconfitte elettorali subite dal Pd.
Di questo processo, sottolineano fonti parlamentari vicine al governatore, Paolo Gentiloni potrebbe essere protagonista con il ruolo di presidente avendo già dato prova di saper essere un arbitro al di sopra delle parti ai tempi in cui era presidente del Consiglio. Sulla possibilità, tra l'altro, Zingaretti si è recentemente espresso in pubblico con toni entusiastici: "Per quanto mi riguarda sarebbe un'ottima notizia per il Pd e per il Paese".
Anzi, il principale candidato alla segreteria ha voluto successivamente aggiungere: “Noi dobbiamo continuare ad andare avanti. Io credo che l’Italia si aspetti dal Pd un grande rinnovamento per ricostruire una speranza per chi questa speranza l’ha persa. Il congresso per me serve a questo e per questo mi sto battendo”.
Anche a Renzi ogni tanto capita di avere problemi
Il grande rinnovamento auspicato da Zingaretti sembrava, almeno fino a poche ore fa, scontrarsi con l’ipotesi sempre più concreta della scissione dal partito capitanata dal suo ex segretario, Matteo Renzi. La novità del giorno è la rassicurazione che il senatore ha voluto dare riguardo le sue intenzioni. "Scissione? Di scissioni ne abbiamo già viste già abbastanza... Non è all'ordine del giorno, e io non ci sto lavorando. Non sto lavorando a qualcosa di diverso", ha detto nel corso di una trasmissione radiofonica.
Dietro però potrebbe esserci l’emergere di tensioni all’interno della sua stessa componente. Almeno quarantotto ore di tempo. È quanto si sono presi i renziani per decidere il da farsi dopo la decisione di Marco Minniti di fare un passo indietro dalla corsa alla segreteria dem.
Una delle ipotesi – quella di chiedere di congelare il congresso e di puntare su Paolo Gentiloni come traghettatore fino alle Europee o come figura unitaria per tenere unito il Pd – è tramontata. Anche perché il diretto interessato, riferiscono fonti dem, é contrario. Al momento l’iter congressuale non si modifica. E allora i fedelissimi dell’ex segretario dem si stanno interrogando. E si stanno anche dividendo.
Qualcuno prende le distanze
Sono più di cento i parlamentari che hanno iniziato questa legislatura al fianco del senatore di Scandicci. Ma in tanti stanno prendendo le distanze. Alla Camera in diversi hanno fatto pervenire ai vertici un messaggio chiaro: qualsiasi fuga in avanti è prematura, noi restiamo nel partito. Altrettanto sconcerto c’è al Senato, con il tentativo in atto di ‘compattare’ le truppe. Ma l’ex presidente del Consiglio oggi non ha chiarito con i suoi interlocutori le sue intenzioni. Si tiene le mani libere. Smentendo sia di voler partecipare al progetto promosso da Gozi il 16 dicembre, sia di voler accelerare a gennaio. In realtà l’ex premier non avrebbe indicato una data ma chi promuove i comitati per la 'resistenza civile' non esclude affatto che dopo Natale si possa partire con la ‘nuova Cosa’, in vista delle Europee.
Voci su voci
Si rincorrono le voci. Una delle tante: Renzi avrebbe intenzione di lasciare all'inizio del prossimo anno il gruppo Pd a palazzo Madama ed iscriversi al gruppo misto per far capire che non vuole coinvolgere altri nelle sue scelte. Ma anche chi alimenta queste indiscrezioni sottolinea come ogni ipotesi del genere sia prematura.
"Io – afferma Renzi - non mollerò mai, non lascerò mai il mio ruolo di senatore dell'opposizione, tutto il resto appartiene al chiacchiericcio". Ed ancora: “Quando ho qualcosa da dire la dico, non mi manca la possibilità di parlare e dire la mia, e ci metto la faccia: quello che voglio dire non lo affido a retroscena o a fonti segrete".
Piani e incertezze
Al momento la volontà di Renzi dunque è quella di non dover trattare con le correnti o essere influenzato dal dibattito congressuale. Nel mirino c’è il governo giallo-verde. Solo che i renziani, disorientati, si confrontano con il tema congresso e sul tavolo c’è anche l’ipotesi di non presentare alcuna candidatura. Una mossa che potrebbe essere interpretata come l’anticamera di una ‘separazione’ ma rappresentare anche una strategia per convergere su Martina, qualora l’ex ministro dell’Agricoltura decidesse di aprire.
Il piano B è una candidatura Guerini che però, tra l'altro, è presidente del Copasir. Da molti dirigenti dem è arrivato l’invito a Renzi a non evocare una scissione.
Un abbandono tra i veleni
Intanto il giorno dopo la rinuncia di Minniti è il momento dei sospetti e dei veleni. Tra i renziani c’è chi ipotizza che l’ex responsabile dell’Interno avesse già un accordo con Zingaretti, altri addirittura vedono la ‘mano’ di D’Alema. Tesi smentite da alcuni ‘big’ che tra l’altro stanno lavorando per trovare una soluzione. Si sono mossi Lotti, Marcucci, Rosato e Guerini ma non c’è ancora una ‘exit strategy’.
Anche perchè – ripetono nel Pd – Renzi si sta muovendo da solo. "Qual è il modello di partito che vogliamo? Quello del '900 con le correnti? No”, sostiene. "Io non mi metto a fare il piccolo indiano di un congresso il cui obiettivo sembra essere discutere tra correnti. Si discuta tra idee", ribadisce. Per chiudere il ‘caso Minniti’: "Io non ho proteso un mio candidato al congresso”.