"Resto convinto in modo irrinunciabile che il congresso ci debba consegnare una leadership forte e legittimata dalle primarie. Ho però constatato che tutto questo con così tanti candidati potrebbe non accadere. Il mio è un gesto d'amore verso il partito". Lo dice l'ex ministro dell'Interno, Marco Minniti, che in un'intervista a 'Repubblica' spiega le ragioni per cui ha revocato la sua candidatura alla segreteria del Pd, che - assicura - era nata per "unire il più possibile il nostro partito e rafforzarlo per costruire un'alternativa al governo nazionalpopulista".
Secondo Minniti, "si è semplicemente appalesato il rischio che nessuno dei candidati raggiunga il 51 per cento. E allora arrivare così al congresso dopo uno anno dalla sconfitta del 4 marzo, dopo alcune probabili elezioni regionali e poco prima delle europee, sarebbe un disastro". La ragione, secondo Minniti, è che "se noi accettassimo l'idea di eleggere un segretario non 'eletto' dalle primarie allora accetteremmo anche l'idea di un partito che sia solo una confederazione di correnti. Sarebbe la prima volta che un segretario del Pd viene eletto senza la maggioranza. Questo è un gigantesco problema politico".
Rispondendo sulle voci di una scissione guidata dall'ex segretario Matteo Renzi, Minniti afferma: "Le scissioni sono sempre un assillo. Sappiamo perfettamente che il Pd ha pagato un prezzo durissimo. Ha pagato un prezzo altissimo a congressi cominciati e mai finiti. Spero che non ci sia alcuna scissione, sarebbe un regalo ai nazionalpopulisti". E ancora: "Spero davvero che nessuno pensi a una scelta del genere. Si assumerebbe una responsabilita' storica nei confronti della democrazia italiana". Con Renzi, precisa l'ex ministro, "non ci siamo sentiti".
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