Nei governi Renzi e Gentiloni, che lo hanno visto guidare il ministero dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda era considerato l'uomo dell'innovazione. Il piano per l'Industria 4.0, i fondi per le Pmi digitali e una costante presenza sui social network, sui quali interloquisce davvero con chiunque. Anche per questo ha scatenato un'accesa polemica il suo Tweet nel quale attacca senza mezzi termini i videogiochi, rei di istupidire la gioventù, come, in passato, si diceva dei fumetti, della musica rock o dei cartoni animati giapponesi.
Ma come, si saranno chiesti i suoi sostenitori, proprio uno come Calenda se ne esce con un'affermazione che per molti potrebbe provenire da un arcigno nonno impegnato a disprezzare tutto ciò che è stato inventato dopo gli anni '50?
"Un po' forte e antiquato come concetto", è una delle critiche che gli vengono rivolte. Ma Calenda insiste e rivela di negare alla sua prole questo passatempo.
C'è chi li considera, nelle giuste dosi, addirittura positivi. C'è chi ritiene siano una forma d'arte a tutti gli effetti. L'ex ministro non appare convinto.
Arrivano le repliche degli addetti ai lavori.
E arrivano anche le inevitabili ironie. Molti utenti ritirano fuori la foto che ritraeva Matteo Renzi e Matteo Orfini distrarsi con una partita.
Ovviamente, c'è anche chi la butta giù ancora più dura di Calenda.
L'invito generale è, però, a evitare di fare di tutta un'erba un fascio. L'importante è non lasciare i bambini soli davanti allo schermo.
Un settore che in Italia vale un miliardo e mezzo
La dichiarazione ha infiammato il dibattito su tutte le testate dedicate al settore e, più in generale, all'universo digitale. Marco Accordi Rickards, il docente di Tor Vergata che aveva replicato a Calenda su Twitter, ha approfondito la questione su Agenda Digitale. "Oggi il videogioco è molto più che un semplice gioco davanti a uno schermo, è un’autentica opera interattiva, che fa uso di tutte le forme di linguaggio e comunicazione umane, fondendole insieme grazie al quid pluris dell’interattività, che coinvolge il fruitore nell’esperienza immaginata e realizzata dagli autori", spiega il professore, "ciò vuol dire che il suo “gioco elettronico”, oggi, è uno strumento poliedrico e vibrante: a volte mette in scena un grande racconto corale western che omaggia Clint Eastwood e Sergio Leone (Red Dead Redemption 2, opera che per contenuti e forza narrativa ha da insegnare a parte del cinema e persino della letteratura), altre volte si ferma a narrare il vero racconto del dramma di una famiglia che perde il suo bambino, affetto da una grave forma di leucemia (That Dragon Cancer, che ha devoluto il suo incasso in beneficenza). Con tutte le doverose sfumature intermedie: esistono opere di puro svago, mentre altre, indipendenti, fanno satira politica contro Donald Trump; alcuni videogame diventano sport elettronici, altri ancora vengono invece ideati e realizzati con fini didattici o terapeutici. Il discorso sarebbe lungo e articolato, ma credo che il punto sia già evidente".
E c'è anche una questione economica: "Come ben certifica AESVI, l’associazione di categoria dell’industria del videogioco italiana in Confindustria, fattura 1,5 miliardi di euro annui, posizionandosi tra i più importanti mercati europei, e che sempre più donne e uomini trovano lavoro in questo settore".
Per Wired è una posizione "facile e ignorante"
Per Gabriele Niola, critico videoludico di Wired, si tratta di una posizione "molto facile e molto ignorante, ma non solo ignorante di videoludica. Implica che chi l’ha enunciata sostanzialmente si esprime su qualcosa di cui non sa molto, di cui ha una nozione vaga e che teme invece che esserne incuriosito (non proprio il massimo come mentalità per un politico vero?), ma soprattutto è ignorante di tante altre discipline che non sono i game study". "La videoludica è innanzitutto esercizio della mente e risoluzione di enigmi, che alla destrezza manuale affiancano un lavoro di ricerca delle soluzioni, anche solo dei punti di deboli di un boss, che manca per esempio al gioco tradizionale", prosegue Niola, il quale appare altrettanto stupito che un'asserzione simile arrivi da un politico progressista e sulla carta attento al mondo dell'innovazione.
"Se questa affermazione fosse arrivata da un parlamentare o un membro del governo conservatore sarebbe stato tutto meno clamoroso e deprimente, in fondo quella è la parte deputata alla retroguardia", è la conclusione, "che arrivi dalla parte progressista taglia davvero le gambe e conferma quel che vediamo anche in altri ambiti, cioè che i progressisti sempre di più sono il partito conservatore, cioè quella parte politica che si appella di più al passato, alle cose di una volta, ai cari vecchi valori e al mondo tradizionale italiano delle fabbriche, dei bei cinema con il rumore del proiettore e del fast food come terribile minaccia ai panini con la mortadella".