Non li ama, e questo lo hanno capito anche i sassi. Li vorrebbe far fuori, e questo lo ha detto a chiare lettere nell'ormai celebre messaggio audio. Ma con chi ce l'aveva Rocco Casalino quando parlava di "pezzi di merda" da eliminare perché intralciano il governo di M5s e Lega, ma soprattutto i piani di politica economica dei pentastellati?
Il Corriere nella sua edizione cartacea fa tre nomi: il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco; il capo di gabinetto del ministro, Roberto Garofoli e il direttore generale del ministero, Alessandro Rivera.
Cosa fanno i Grand Commis
Sono le figure di vertice che dovranno pronunciarsi sui tagli di spesa e gli aumenti delle tasse con cui il governo dovrebbe finanziare il reddito di cittadinanza.
Franco, Garofoli e Rivera non si dimetteranno anche perché alla struttura tecnica dell'Economia sono arrivati inviti a resistere da molti apparati dello Stato e dal settore privato.
Anche persone vicine al Quirinale avrebbero fatto conoscere il loro sconcerto, benché la gaffe di un portavoce sia qualcosa su cui il capo dello Stato non vorrebbe intervenire.
Il ministero, che ha fatto subito quadrato intorno ai suoi uomini, sottolinea che "l'attribuzione di risorse a determinate voci piuttosto che ad altre non spetta alle strutture tecniche dell'Economia, perché è una scelta politica" e quello che è successo viene interpretato come la caccia di un capro espiatorio: M5S ha promesso sussidi per decine di miliardi prima delle elezioni e ha detto di sapere precisamente con quali tagli finanziarli; quindi ha chiesto a Tria di trovare quei tagli; infine cerca di scaricare sui tecnici la colpa se le vaste promesse elettorali andranno deluse.
Il quotidiano 'La verità' va oltre e traccia una mappa dei cosiddetti 'ministri del controgoverno' che secondo l'esecutivo intralciano le politiche e che oltre agli uomini di Tria comprenderebbero i capi di gabinetto e il governatore di Bankitalia. Sono accusati di opporre alle idee politiche i paletti della burocrazia delle leggi e della lentezza ministeriale.
La parola: Grand Commis
Viene dal francese e letteralmente significa 'gran commesso', cioè 'grande addetto'. In italiano è usato in tono per lo più ironico per indicare un funzionario dello stato o del parastato di alto livello e di grande potere.
A dar retta alla Verità, tra quelli che i grillini vedono come il fumo negli occhi c'è Ugo Zampetti, consigliere di fiducia di Sergio Mattarella, storico segretario generale della Camera diventato il 17 febbraio del 2015 segretario generale del Quirinale. A lui, scrive il quotidiano, sono legati diversi personaggi di spicco in vari ministeri: il capo di gabinetto del ministero dell'Economia, Antonio Malaschini; Vito Cozzoli, capo di gabinetto del Mise; Francesco Fortuna, coordinatore dell'ufficio segreteria tecnica del capo di gabinetto del Mise; Giancarlo Montedoro, capo dell'ufficio legislativo del Quirinale; Tito Boeri, presidente dell'Inps.
Di tutti loro Luigi Di Maio ha scritto su Facebook che "c'è chi rema contro, una parte della burocrazia dei ministeri. E' chiaro ed evidente che il sistema ha piazzato nei gangli fondamentali dello Stato dei servitori dei partiti e non dello stato".
I sospetti di Di Maio
Le parole di Di Maio, secondo il Messagero, riflettono il timore diffuso nel M5s: che i Grand Commis stiano in realtà con la Lega di Salvini, attento a non inimicarsi i vertici Mef. Di Maio tira in ballo i portavoce che farebbero come Casalino, non solo di Renzi o Berlusconi, ma dello stesso Salvini.
"Attaccano noi e non la Lega", sostiene dando corpo alle voci che nel Movimento circolano rispetto ad un passaggio con il Carroccio dello stesso Tria che "ha i soldi per la Fornero, per la flat-tax e fatica a trovarli per il reddito".
D'altra parte, sottolinea il quotidiano romano, lo scontro tra la politica e la burocrazia non è una cosa nuova specie in vista della manovra di bilancio. Di Maio e i 5 Stelle temono di finire nelle maglie di una burocrazia pronta a serbare la continuità e che prova a dominare i meno preparati tra gli esponenti del governo.
All'epoca di Berlusconi, toccava all'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, costruire con estrema cura le riunioni prima del Consiglio dei Ministri e nel governo Renzi era Graziano Delrio a mantenere il punto di contatto tra la tecnocrazia e il governo.