Martina eletto segretario, congresso prima delle Europee, primarie il 24 febbraio 2019. Sui nodi politici sul tavolo le varie anime del Pd hanno trovato un'intesa. Siglata una tregua, ufficialmente nessuna spaccatura tra le correnti. L'armistizio serve a prendere tempo ma non piace a tutti i delegati dell'assemblea dem che già guardano avanti. Tra rassegnazione per il vento in poppa della maggioranza giallo-verde, l'orgoglio di chi punta a ripartire riconquistando consensi e il timore per l'incertezza su chi debba guidare la barca. "Commettete un errore, non si può lasciare appeso il partito per un anno", la protesta di Giachetti. Per ora alla corsa per la conquista del Nazareno è iscritto Zingaretti che non è intervenuto in Assemblea, si è limitato a chiedere una discussione vera, "ora - ha spiegato - apriamo comitati per l'alternativa". I suoi ripetono che "serve una svolta".
Sul governatore della Regione Lazio ("non si predispone mai all'ascolto degli altri e delle loro ragioni. È un grandissimo limite per un leader", la critica a Renzi) c'è tutta l'area orlandiana e altri 'big' del Pd, come Gentiloni e Zanda. La minoranza dem affila le armi: "È finita la fase di Renzi, basta parlare di lui. Perderà il partito". L'area renziana non ha ancora un candidato, per questo teme di perdere terreno, auspica che l'ex premier l'anno prossimo possa avere margini di manovra magari per riprendere il timone.
E Renzi si è limitato a lanciare la sfida: "Ci rivedremo al congresso e perderete. E poi dal giorno dopo contesterete chi ha vinto". "Il tempo del congresso è già oggi", la risposta del fedelissimo di Emiliano, Boccia. Ancora una volta è il senatore di Scandicci ad aver infiammato la platea. Acclamato dai suoi, contestato appunto dall'area di Orlando e Emiliano. All'assemblea si sono confrontati due modelli. Quello di Martina con la sua 'rivoluzione d'ascolto' e quello di Renzi.
L'ex segretario dem l'ha messa sul piano calcistico: "Ci siamo innamorati dell'idea di giocare con il 'falso nueve'. È importante la comunità ma come non c'è un io senza un noi così non c'è comunità senza leadership".
L'ex ministro dell'Agricoltura pur sottolineando di voler smascherare "la demagogia" M5s ("Non regaliamo ai grillini la sfida del reddito di base") ha sottolineato che "noi siamo fondamentali per costruire l'alternativa ma non basteremo a noi stessi" ("Noi ci siamo alleati con i monarchici per cacciare i fascisti", l'osservazione di Orlando). "M5s è una corrente della Lega, la vecchia destra", la posizione di Renzi. Ma al di là del tema delle alleanze e della discussione sulle proposte arrivate dal palco ("Dividere la figura del segretario da quella del candidato premier", chiede la Serracchiani), il confronto resta vincolato sul 4 marzo. Sulle ragioni della sconfitta. Renzi ne elenca 10 (lo stop sui vitalizi al Senato, l'insistenza sulla legge elettorale per puntare sulla coalizione, le accuse sulla buona scuola e sul jobs act) ma soprattutto spinge sulle divisioni interne, sull'attacco alla leaderhip. Perché il commerciante che allestisce la vetrina del suo negozio non può sentire attaccare continuamente il suo marchio, "chiaro poi che non vende". Perché "mi sarei aspettato una maggiore solidarietà dalla classe dirigente" nel momento in cui è arrivata un'ondata social "contro la mia famiglia".
Il j'accuse dell'ex premier è "sulla guerra fatta al Matteo sbagliato": "Il problema non è quando aprire il congresso, ma quando chiuderlo". Ed ancora: "Quando hai il tuo governo e dici che nulla va bene devi votare M5s non Pd. Basta alle risse da cortile, la riscossa partirà se finiremo di prendercela con chi lavora affianco a noi". La richiesta, invece, dell'area non renziana a Martina è quella di mettere pace al Pd. "Il partito è una grande orchestra. Elaboreremo idee, persone, strumenti nuovi. Serve una riorganizzazione di tutto, sarà un percorso lungo, scriviamo tutti insieme una pagina nuova", dice l'ex ministro dell'Agricoltura Martina che si dice pronto ad aprire a chi è fuori dal partito.
E qui emerge un'altra differenza con Renzi, visto che l'ex presidente del Consiglio ha sottolineato che "la direzione non deve essere quella di un simil Pds o Unione". L'ex premier è stato interrotto soprattutto quando ha citato Blair e si è riferito alle dimissioni di Marino. "Basta tifoserie, così segate il ramo sul quale siete seduti", l'attacco dell'ex presidente del Consiglio alla minoranza dem. "Non è possibile limitarsi al brusio delle minoranze interne, alle colpe di Leu o al mancato carisma di Gentiloni", la reazione di Orlando. L'ex premier presente nella sala "è stato l'unico in prima fila - ha fatto notare un renziano - a non applaudire Renzi neanche una volta".