Alla riunione dei suoi omologhi europei non ci sarà, causa voto di fiducia alle Camere, ma Matteo Salvini coglie l’occasione dell’imminente vertice, dedicato ai problemi dell’immigrazione e alla revisione dell’accordo di Dublino, per lanciare il suo aut-aut a Bruxelles e dintorni.
Esordio non in prima persona, il suo, ma il neotitolare del Viminale lascia capire come intenda porsi di fronte alla questione dei flussi. Magari seguendo, come in questo caso, una qual certa continuità con i governi precedenti (l’Italia a guida Gentiloni aveva già manifestato tutte le sue contrarietà rispetto a questa bozza di revisione), ma facendo ricorso a toni ultimativi che, nel palazzo di Lussemburgo dove si terrà la riunione di domani, in pochi sono abituati ad ascoltare.
“L’Ue ci aiuti, o faremo in altro modo”
L’avvertimento del ministro dell’interno è quanto di più chiaro possa esservi. Scrive Salvini su Twitter: "Occorre buon senso. Quello degli sbarchi e dell’accoglienza di centinaia di migliaia di 'non profughi' non può continuare ad essere un problema solo italiano. O l’Europa ci dà una mano a mettere in sicurezza il nostro Paese, oppure dovremo scegliere altre vie”.
Il fatto è che il dibattito, tra i partner europei, è molto serrato, e le divisioni emergono e si rafforza o con il passare delle ore.
Mediterraneo contro Visegrad, e l’Europa si divide
Da una parte i paesi del Mediterraneo guidati dall'Italia che denunciano il troppo peso dato al principio della “responsabilità”, dall'altra quelli dell'Est attorno al gruppo di Visegrad che rifiutano qualsiasi forma di quote obbligatorie: le speranze di arrivare a un accordo sulla riforma di Dublino si sono praticamente azzerate ancor prima dell’inizio dei lavori. La posizione del nuovo governo italiano non cambia i rapporti di forza che si erano già creati negli scorsi mesi, con l'Italia chiaramente schierata contro il testo della presidenza bulgara considerato penalizzante per il nostro Paese.
Una unanimità che rischia di non esserci mai
Infatti il testo contiene ancora le quote obbligatorie di ripartizione di richiedenti asilo tra gli Stati membri, ma solo in caso di “crisi grave”, con soglie molto alte in termini di numero di arrivi e sulla base di una decisione che deve essere presa all'unanimità dai capi di Stato e di governo dell'Ue. Praticamente: non capiterà mai.
Le quote obbligatorie rappresentano una linea rossa invalicabile per i paesi del gruppo di Visegrad – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia – a cui si è aggiunta l'Austria. Cinque partner su 28, l’unanimità è un sogno. Tanto più che i nuovi venti populisti che spirano in Europa Centro-Orientale limitano fortemente la stessa capacità dei governi di mediare un compromesso seppur minimo.
Cinque anni per tornare in Italia
Per contro, il compromesso proposto dalla presidenza bulgara prevede un inasprimento della responsabilità di cui devono farsi carico i paesi di primo ingresso, in particolare sul numero di anni (il testo arriva a 5) durante i quali hanno l'obbligo di riprendersi i richiedenti asilo che si trasferiscono in un altro Stato membro. Non stupisce che l'opposizione dei paesi del Mediterraneo (Italia, Spagna, Grecia, Cipro e Malta) abbia dato vita ad un fronte che è rimasto compatto durante le trattative delle ultime settimane.
Nemmeno la Commissione riesce a indicare una soluzione
Il Parlamento europeo la scorsa settimana aveva chiesto ai governi dei 28 di abbandonare la ricerca a tutti i costi del consenso per passare al voto a maggioranza qualificata e uscire dallo stallo. Ma, dopo la frattura provocata dalle cosiddette “relocation” (ridistribuzione dei richiedenti asilo) nel 2015, nemmeno la Commissione è favorevole a forzare la mano. “Sulla possibilità di un voto alla maggioranza qualificata, legalmente è vero che queste decisioni possono essere decise sulla base della maggioranza qualificata, è nel trattato ed è la legge applicabile”, si fa sapere, “Tuttavia la posizione della Commissione è che l'opzione preferita sarebbe di arrivare a una decisione basata sul consenso”.
“Si dovrebbe parlarne nelle istanze competenti, non tra i giornalisti”
Interrogato sul “no” di Salvini, il portavoce della Commissione Margaristis Schinas n on è riuscito a mascherare un filo di indisposizione. “Il contesto istituzionale appropriato per questa questione è il Consiglio Giustizia e Affari interni di domani a Lussemburgo”, ha sottolineato, “Sarebbe molto più saggio che tutte queste prese di posizioni sui parametri di un futuro accordo su Dublino si facessero e si prendessero nelle istanze competenti e non nella sala stampa della Commissione”.
Anche Tajani gradirebbe la presenza di Salvini
Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha ricordato che “i ministri italiani devono essere sempre presenti alle riunioni in Europa per difendere gli interessi nazionali”.
“Servono fatti e non parole”, ha ricordato su Twitter, senza citare Salvini ma con un implicito riferimento al ministro.
Una finestra sempre più piccola
Per la Commissione, la revisione di Dublino “è un'opportunità di mostrare la solidarietà dei 27 e di non lasciare i paesi in prima linea, in particolare Grecia, Italia, Malta e Spagna, assumersi un peso di responsabilità sproporzionato”. Secondo una fonte comunitaria, la “finestra” per ottenere le quote obbligatorie di ripartizione dei richiedenti asilo “sta diventando sempre più piccola”.
Un fronte a 6 per i populisti
Con la vittoria dell'anti-immigrazione Janez Jansa alle elezioni domenica in Slovenia, il fronte di Visegrad rischia di allargarsi ulteriormente. Con ogni probabilità, saranno i capi di Stato e di governo a dover cercare di trovare una via d'uscita nel loro Consiglio europeo di fine mese. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha indicato la possibilità di lavorare alcune altre settimane per trovare un consenso. Ma a Bruxelles il timore è che la legislatura si chiuda nel maggio del 2019 senza alcun accordo su Dublino, rinviando di diversi anni la riforma.