"Perché non vi va bene Giorgetti all'Economia?". Nella risposta a questa domanda, che Sergio Mattarella - rivela il Corriere - avrebbe posto a Luigi Di Maio e Matteo Salvini, c'è la chiave per comprendere le dinamiche della crisi istituzionale che sta agitando il Paese. Il braccio destro del leader del Carroccio, salito al vertice di via XX Settembre, sarebbe probabilmente andato a Bruxelles con intenti simili a quelli del professor Paolo Savona: non uscire dall'euro ma chiedere una revisione del tetto del 3% del deficit, che peraltro non sta nei Trattati ma in un regolamento. Magari con un 'piano B' per avere un potere negoziale vero e non fare la figura dei Varoufakis. E, chissà, coordinandosi con Emmanuel Macron, al quale farebbe comodo un alleato di peso per chiedere più flessibilità a Berlino.
Una strategia concordata?
Il sospetto che l'irrigidimento di Salvini sul nome di Savona avesse come obiettivo il ritorno alle urne, una strategia forse concordata con Forza Italia, era stato già sollevato dai quotidiani nei giorni scorsi. E, rimettendo insieme i pezzi del puzzle, molti editorialisti sembrano giungere a questa conclusione. A partire da Alessandro Sallusti. "Mi viene il dubbio che Matteo Salvini non abbia rinunciato a Paolo Savona proprio per far saltare il banco con addebito di colpa a terzi (Mattarella), un modo eroico per uscire da un vicolo cieco in cui, probabilmente in buona fede, si era cacciato - scrive il direttore del Giornale - 'Savona o morte' è uno slogan efficace, non un programma politico. Avrebbe potuto, per esempio, mandare all'Economia il fidato Giorgetti, suo braccio destro e gradito anche al Quirinale: sui tavoli europei non sarebbe certo stato più docile di Paolo Savona". Appunto.
Quel chiarimento, troppo tardivo, di Savona
Va osservato che la vicenda Savona è stata gestita in maniera troppo maldestra per non risultare sospetta. Il professore ha chiarito ieri le sue posizioni in una lettera, nella quale ribadisce, con qualche ambiguità, la sua volontà di restare in Europa ma ridiscutendone le condizioni. Troppo poco e troppo tardi. Ormai lo spread si era imbizzarrito e l'accademico sardo era diventato uno spauracchio, sebbene le sue posizioni siano più moderate e articolate di come sono state dipinte. Per questo Mattarella non ha potuto dare il via libera: nel tempo che sarebbe stato necessario a Savona per un chiarimento, i mercati nel frattempo sarebbero stati investiti da forti turbolenze, senza tralasciare il fatto che - a prescindere dalle sue idee - i toni accesi utilizzati nei confronti della Germania nel suo ultimo libro non lo candidavano come il mediatore ideale.
Anche tralasciando quest'ultimo, tutt'altro che trascurabile, punto, sarebbe bastato poco per rendere Savona un candidato meno indigesto. Sarebbe bastato, una settimana prima, un intervento teso a rassicurare Bruxelles, che poi era quello che aveva chiesto il Quirinale. Un'intervista su un quotidiano, un'apparizione televisiva. Sarebbe bastata una telefonata da via Bellerio che lo chiedesse. E invece Salvini ha fatto il contrario, rifiutandosi di scendere a compromessi e costringendo Di Maio a seguirlo, pena l'apparire troppo moderato di fronte agli elettori. Francesco Verderami sul Corriere due giorni fa ricostrui così la conversazione tra l'economista e il leader leghista:
Se il problema è il mio ultimo libro — aveva esordito Savona — ne ho scritti altri prima. Se il problema è il carattere, lo si dice di chi ha un carattere forte. Se servo, sono disponibile. Se devo essere sacrificato sull’altare della patria, mi farò da parte. E non sarò certo io a polemizzare contro i partiti e tantomeno contro il presidente della Repubblica'. 'No professore, nessun passo indietro', era stata la risposta di Salvini: 'Anche perché se è “no” per uno è “no” per tutti'."
"Salvini romperà", prevedeva il Cav
"C’è poi la telefonata che il leader della Lega aveva fatto con Berlusconi tre giorni prima, e al termine della quale il Cavaliere aveva lasciato esterrefatti i dirigenti forzisti: 'Salvini romperà, datemi retta. Invece del governo avremo il voto anticipato' - scriveva ancora il Corriere sabato scorso - Una premonizione confermata l’altro ieri, durante il colloquio tra i due 'alleati' a Montecitorio. 'Su questa storia di Savona tirerò dritto fino in fondo', era stato l’incipit del capo del Carroccio: 'Ne uscirò anche bene. Andremo alle elezioni e le vinceremo'. Berlusconi, galvanizzato dalla possibilità di ricandidarsi, gli aveva risposto di essere pronto alla sfida, sebbene fosse conscio del rischio a cui andava incontro dopo aver commesso quello che oggi considera 'un errore': aver dato il via libera alla Lega per allearsi con i 5 Stelle".
Un misterioso colloquio
Sono diversi gli indizi che portano alla pista di una rottura concordata con Berlusconi. A partire dal colloquio di dieci minuti tra lui e Salvini dopo le consultazioni della delegazione azzurra con Giuseppe Conte. Facile supporre che l'argomento della conversazione fossero le urne anticipate, alle quali avrebbe inevitabilmente condotto uno scontro con il Colle portato fino in fondo. Così come sembrano frutto di un copione studiato il monito di Salvini, secondo il quale un voto di fiducia di Forza Italia al nuovo premier incaricato Carlo Cottarelli avrebbe sancito la fine dell'alleanza di centrodestra, e la successiva replica di Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi parlamentari azzurri, che ha prontamente assicurato che ciò non avverrà.
Salvini si reinventa 'populista ragionevole'
In tutto questo, Di Maio, incalzato nel frattempo da Di Battista nella lotta per la leadership interna al M5s, non ha potuto che seguire Salvini, giungendo finanche a sacrificare i cordiali rapporti costruiti con Mattarella, il quale - come è noto - non ama molto il leader leghista. Fino a sentirsi costretto a superarlo nei toni, per non continuare a rincorrere, e chiedere la messa in stato d'accusa per alto tradimento del capo dello Stato. La classica linea, varcata la quale, non si torna più indietro. "Il Movimento 5Stelle è stato 'salvinizzato'. Il prodotto finale di questa lunghissima crisi istituzionale è la subalternità del 'grillismo' al leghismo", scrive Claudio Tito su Repubblica. Forse è così solo nell'immediato: un ulteriore obiettivo di Salvini era quello di rovesciare i ruoli con Di Maio, strappandogli il ruolo di "populista ragionevole". Altra operazione riuscita: mentre Di Maio domandava l'impeachment di Mattarella, un Salvini quasi sorridente, pur dicendosi "incazzato nero", invitava in diretta video i sostenitori a "restare calmi". "Questo è il momento di stare calmi".
Anche Giorgia cade nella trappola
Da sottolineare come - e questo forse non se l'aspettava nemmeno il Carroccio - nella trappola che il numero uno di via Bellerio sembra aver preparato per Di Maio, sia caduta pure l'alleata Giorgia Meloni: anch'essa ha chiesto l'impeachment, unica nel centrodestra. Anche lei è stata costretta ad alzare i toni per arginare una paventata emorragia di consensi verso il Carroccio. Eppure, in campagna elettorale, la presidente di Fratelli D'Italia si era costruita il ruolo opposto, quella di 'giusto mezzo' per l'elettore di destra che riteneva Berlusconi troppo moderato e Salvini troppo estremista. Uno scivolone tattico che rende ancora più vicina l'attuazione del progetto di lungo termine di Salvini: fagocitare gli alleati e diventare il capo di un listone unico di centrodestra a vocazione maggioritaria. Un progetto che ha importanti sponsor anche in casa forzista, a partire dal presidente della Liguria, Giovanni Toti.
"E Salvini beffò l'apprendista Di Maio"
Questo il titolo scelto da La Stampa. "La verità è che, come un pifferaio magico Matteo Salvini è riuscito a farsi seguire da Luigi Di Maio e condurlo fin dove quest'ultimo non avrebbe mai voluto arrivare", osserva Federico Geremicca, "per il 'capo politico' dei Cinque Stelle, infatti, riuscire a fare un governo era assolutamente fondamentale: fallire l'obiettivo e arrivare alla rottura su temi, nomi e tempi scelti dall'amico Matteo rappresenta un precipizio dal quale non sarà facilissimo risalire: forse nemmeno tornando all'antico, rispolverando i toni duri delle origini e minacciando l'impeachment del capo dello Stato". "Salvini ci ha usato per tornare al voto", avrebbe confidato Di Maio ai sodali secondo un altro retroscena del quotidiano torinese.
E ora al voto. Ancora col rosatellum?
L'ultimo tassello di quello che ha tutta l'aria di un capolavoro strategico targato Salvini, arriva ora, con Cottarelli premier traghettatore verso le urne. L'ex commissario alla spending review è stato chiaro: o mi date la fiducia e si fa una nuova legge elettorale o si torna al voto con il Rosatellum. Il Movimento 5 stelle potrebbe avere chance solo con un premio di maggioranza alla singola lista. A giudicare dai sondaggi, il centrodestra invece è perfettamente in grado di conquistare quel 40% che apre le porte di una maggioranza autonoma anche a legge elettorale immutata, magari giocando la carta aggiuntiva dell'unico 'voto utile' in grado di dare, finalmente, un esecutivo al Paese. Un esecutivo che Salvini ora è pronto a guidare, con al suo fianco gli alleati di sempre.