Nemmeno 24 ore è durato il cessate il fuoco interno al Partito democratico. Dopo la direzione di ieri e i richiami all'unità, è Matteo Renzi a dar fuoco alle polveri con un post su Facebook in cui torna ad attaccare il Movimento 5 Stelle. Luigi Di Maio e Beppe Grillo, dopo la 'pausa istituzionale' hanno rispolverato l'idea di un referendum con cui chiedere agli italiani se vogliono mantenere l'euro. Una ipotesi che conforta la scelta aventiniana dell'ex segretario Pd: "Quando vedo certe capriole sono orgoglioso di aver contribuito ad evitare l'accordo tra Pd e M5s".
Una considerazione che, per i non renziani, rimette le lancette dell'orologio indietro a prima della direzione di ieri e della tregua ottenuta da Maurizio Martina. Innanzitutto perché il Capo dello Stato è ancora al lavoro alla ricerca di una soluzione allo stallo istituzionale e aprire un nuovo scontro a distanza non aiuta, spiegano fonti vicine al ministro dei Beni Culturali. Di qui la risposta di Franceschini: "La riflessione di Renzi è superficiale e sbagliata. Proprio il fatto che Grillo e 5 Stelle tornino, fallita una prospettiva di governo e avvicinandosi le elezioni, ai toni populisti e estremisti, dimostra che avremmo dovuto accettare la sfida di un dialogo proprio per portarli a rapportarsi con la realtà di una azione di governo reale che non si affronta con grida e slogan".
La preoccupazione del reggente
Anche Martina, parlando con i suoi, esprime "preoccupazione per la situazione. Altro che ringalluzzito dallo scontro aperto con i Cinque Stelle" da Matteo Renzi. Ora, aggiunge il segretario dem, "il rischio di un ritorno alle urne è sempre piu' alto e l'incertezza sul Paese crescerà". Dai renziani, con il senatore Dario Parrini, arriva un appello al titolare della Cultura affinché si evitino strappi, ma tra i fedelissimi dell'ex premier monta l'irritazione.
Lo scontro dunque continua, al di là dell'esito della direzione di ieri che ha siglato la 'pax interna' rinnovando la fiducia (a tempo) a Martina e rimettendosi nelle mani di Mattarella sull'eventualità che il Capo dello Stato opti per un governo del Presidente. E se Salvini rilancia su un governo di 'tregua', con tempi (fino a dicembre) e obiettivi ben definiti, dal Pd non chiudono del tutto a questa possibilità, purché si tratti di un governo istituzionale, con tutti, spiegano fonti del partito.
In ogni caso, la linea rimane quella dell'ascolto e del rispetto delle indicazioni provenienti dal Quirinale. "Abbiamo avuto in direzione una discussione utile dalla quale siamo usciti più forti, più uniti e consapevoli del ruolo che possiamo avere per il Paese. Cercheremo di contribuire allo sforzo del Presidente della Repubblica, lo abbiamo fatto dal primo minuto e intendiamo sviluppare questo lavoro", spiega Martina. "Abbiamo vissuto tutti 60 giorni di scontri, tatticismi, conflitti, soprattutto da parte di chi il 4 marzo ha prevalso nelle urne. Devono dire innanzitutto agli italiani che hanno fallito, fino a qui non hanno garantito una prospettiva utile al Paese. E questa è una responsabilità molto grave".
Si riapre il duello per la leadership
Il dibattito si gioca sul rapporto con il M5s, ma il vero terreno di scontro è la guida del partito. Ieri mattina in una riunione di Areadem, Dario Franceschini è stato chiaro: serve discontinuità rispetto al passato. Altrettanto chiaro è stato in direzione: "Siamo spettatori, non più determinanti". L'obiettivo del responsabile dei Beni culturali è quello di allargare il fronte per far sì che il Pd volti pagina. Che non sia più - spiega uno dei fedelissimi del ministro - un partito padronale nel quale chi esprime una opinione viene delegittimato.
"Siamo partiti e non ci fermiamo più", il 'refrain' di franceschiniani che sperano di portare dalla loro ministri come Claudio De Vincenti, Maria Anna Madia e Marco Minniti e accusano Renzi di volere un governo con il centrodestra. Ma la strada indicata da Franceschini sul futuro dialogo con i pentastellati "in un sistema tripolare e proporzionale" è subito bloccata da renziani: una prospettiva impossibile.