Il Pd trova un compromesso che scongiura l’immediata resa dei conti e la spaccatura interna, ma rinvia la partita di qualche settimana. Il Quirinale perde le staffe e compie un passo con pochi precedenti nella storia della Repubblica: se lunedì, al terzo giro di consultazioni, non uscirà una vera formula di governo, Mattarella farà da sé e nominerà un governo lontano dai partiti, super partes, e se qualcuno non lo vuole si assumerà la responsabilità di quanto segue: aumento dell’Iva al 25 percento, elezioni anticipate, riduzione dei fondi dell’Ue per l’agricoltura e le aree depresse.
Chi se la sente, si faccia avanti. Ma Matteo Salvini torna ad insistere: voglio l’incarico, e i voti li troverò in Parlamento. La ruota della crisi gira, eppure resta sempre immobile.
Il Pd si ricompatta
Nel riferire degli esiti della direzione del Pd di ieri, il Corriere della Sera sintetizza con efficacia: “Nonostante i malumori dei pasdaran di Renzi e il litigio a scena aperta tra Martina e Lorenzo Guerini, alla fine di un drammatico braccio di ferro la direzione approva la relazione del segretario pro tempore, che ha lavorato per mettere fine alla «logica dell’amico-nemico in casa nostra». I renziani ritirano il loro ordine del giorno e gli concedono di guidare il Pd fino all’assemblea nazionale, dove si deciderà se eleggere il segretario o convocare il congresso. ‘Adesso gli rinnovano la fiducia, poi lo ammazzano in assemblea’, sussurra un fedelissimo di Martina”.
Le tensioni del Partito Democratico hanno spinto il Colle ad un passo con pochi precedenti: avvertire che in caso di mancato accordo ci sarà un passo diretto della Presidenza della Repubblica, che non può restare a guardare mentre i veti incrociati paralizzano il Paese. Secondo La Stampa “Mattarella non chiederà l’autorizzazione alle forze politiche. Sa già che, se domandasse in anticipo il permesso, Cinque stelle e Lega si metterebbero immediatamente di traverso. Dunque le consultazioni convocate in tutta fretta per lunedì avranno un diverso obiettivo”.
Cioè “serviranno (fa sapere il Quirinale) a ‘verificare se i partiti abbiano altre prospettive di maggioranza di governo’. E a farle venire a galla, ammesso che esistano”. Le fonti del Quirinale sentite dal giornale non a caso fanno due esempi. Il primo: “ Salvini, che sta reclamando l’incarico per provarci lui, sarà invitato a indicare i gruppi disposti a votarlo. Se la risposta non sarà stata soddisfacente, avanti un altro”.
Esempio numero due: “Qualora Berlusconi sostenesse di avere in tasca non si sa quanti deputati e senatori grillini, Mattarella lo pregherà di farne i nomi seduta stante, non si accontenterà di fumisterie. Sessanta giorni di veti incrociati, fanno sapere lassù, sono stati anche troppi”. I giuristi di domani avranno materia per scrivere un nuovo capitolo nei manuali di diritto costituzionale, quello dell’evoluzione nei rapporti tra Colle e Camere.
L'insistenza di Salvini
L’altolà trova orecchie poco disposte ad ascoltare. Lunedì, racconta La Repubblica, Matteo Salvini si presenterà con Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni, ma “la sua linea l’ha già decisa prima di concordarla con gli alleati ( coi quali pure si confronterà questo fine settimana). E sarà anticipata oggi pomeriggio al consiglio federale di via Bellerio”. Cioè “rivendicherà per sé l’incarico ‘politico’, per ‘rispetto nei confronti degli elettori’”.
Quanto ai numeri, “i 50 voti mancanti alla Camera e ai 20 al Senato, racconterà al capo dello Stato di volerli raccogliere in Parlamento sulla base di un programma ben preciso che gli illustrerà allo Studio alla Vetrata. Pronto ad accogliere il sostegno del M5S, se Di Maio si dovesse ricredere: resta la prima opzione. Oppure, singoli ‘responsabili’, purché non converga il Partito democratico che del resto non ha alcuna intenzione di dare una mano al capo della Lega”.
Vista così, verrebbe da dire che lo stallo è destinato a durare. Scrive del resto Il Foglio che “Per fare un governo in una Repubblica parlamentare bisogna esserne capaci. Devi calcolare quanto conta realmente la tua forza nei numeri delle assemblee elettive. Devi discutere con un certo spirito con gli interlocutori. Sapere intrecciare fermezza e duttilità. Fissarti degli scopi, anche graduali, anche parziali, in vista della realizzazione finale. Devi essere credibile e apparire credibile. Devi superare lo scoglio della chiacchiera pre-elettorale, che è certo programmi e fedeltà ai programmi, ma è anche altro”.