“Distinguere il bene comune dai molteplici interessi di parte”. Nell’intervento alle celebrazioni del primo maggio questo passaggio del discorso di Mattarella è da leggere come un appello ai partiti a evitare di guardare al proprio orticello e pensare invece al Paese che solo così “può andare incontro con fiducia al proprio domani”.
Il monito sui divari sociali
Per il Capo dello Stato “i divari sociali” sono “un prezzo insostenibile” per l’Italia, “la crescita del lavoro deve essere centrale per ogni strategia di governo”. Il problema è che di fronte ai tanti appuntamenti internazionali che ci attendono (per esempio il G7 in Canada) e alle problematiche che si affacciano ogni giorno (a preoccupare il Capo dello Stato è soprattutto il riaffacciarsi delle spinte protezionistiche) occorrerebbe che le forze politiche si assumessero la responsabilità per trovare una soluzione nella formazione dell’esecutivo.
La politica bloccata
E al momento si registra una totale impasse: M5s (con Di Maio) rilancia il voto anticipato, la Lega (con Giorgetti) un governo centrodestra con i pentastellati. E si torna al punto di partenza, tanto che il presidente della Camera Fico evita di commentare voci di urne a breve e prematuri tavoli sulla legge elettorale e si affida proprio alla saggezza del presidente della Repubblica. Tocca a lui, tocca alla prima carica dello Stato tirato per la giacchetta da FI e Fdi che insistono sull’ipotesi di un esecutivo di minoranza, dalla Lega che minaccia la piazza in caso di asse Pd-M5s e dai grillini che vogliono un nuovo ricorso alle urne per i cittadini già da giugno.
I vicoli ciechi intorno al Quirinale
Mattarella ha preso tempo. In attesa innanzitutto della direzione del Pd. Ma ormai anche al Colle è sempre più evidente che le possibili strade da percorrere rischiano di trasformarsi in vicoli ciechi. Dei tre forni – Pd-M5s, Lega-M5s, centrodestra-M5s – il presidente della Repubblica non ne ha privilegiato neanche uno.
Una gestione trasparente della crisi politica, basata sui numeri. Sono rimbalzate voci in Parlamento dell’intenzione nei giorni scorsi di Salvini di staccarsi da Berlusconi, tam tam di una possibile convergenza dei renziani sul nome di Giorgetti grazie alla mediazione di Berlusconi. Ma il Capo dello Stato ha messo i partiti alla prova sui fatti e finora non è emersa alcuna luce.
Anche la strada di un incarico "al buio", di un governo allo sbaraglio, con numeri ballerini, non sembra percorribile. Non fu data questa possibilità nella passata legislatura neanche a Bersani che aveva numeri molto più ampi. Ecco perché si rafforza l’idea che un governo del Presidente, di transizione, di garanzia, con una figura esterna ai partiti, possa essere l’unica ‘exit strategy’. Due sono gli scogli: il primo è legato, oltre a chi deve guidarlo (e i nomi fin qui fatti, come Flick, non sembrano avere chanches); il secondo a chi lo vota.
Nel caso si andasse su questa prospettiva la prima carica dello Stato potrebbe chiedere ai partiti di assumersi la responsabilità di metterci la faccia. Per un esecutivo emergenziale che nasca con la ‘mission’ di trattare con l’Europa e di varare la legge di bilancio, scongiurando anche il temuto aumento dell’Iva. Lega e M5s se non dovessero trovare un’intesa in questi giorni, dovrebbero – questo l’auspicio dei vertici istituzionali - farlo partire ma per ora un loro via libera non c’è.
Il problema tempo
Il secondo ostacolo è sul tempo: quanto dovrebbe durare. La data di luglio come termine non viene considerata, a mali estremi i cittadini potrebbero tornare alle urne a ottobre. Ma in questo modo si rischia di regalare il Paese agli speculatori e di portare ‘Italia all’esercizio provvisorio. Da qui la spinta che potrebbe arrivare dal Colle – sempre se dovesse essere questa l’extrema ratio – affinché si arrivi perlomeno fino a marzo prossimo. Con un check magari a dicembre quando potrebbe essere più chiaro il quadro possibile.
Sei mesi in politica sono un’eternità e nel Movimento 5 stelle, nel Pd e nel centrodestra potrebbero cambiare gli equilibri interni e le figure di riferimento. Il partito del Nazareno per esempio è alle prese con una nuova contesa interna. Non che la direzione di giovedì possa riaprire il forno tra dem e pentastellati, ma potrebbe fare chiarezza su chi da la linea: Martina, dopo lo scontro di ieri con Renzi, oggi getta acqua sul fuoco, ribadisce di voler fare squadra ma i fedelissimi dell’ex premier già guardano oltre e pensano alla figura su cui puntare in futuro.
Al centro della discussione però dovrà esserci necessariamente la crisi politica, perché quando Martina, Franceschini e Orlando parlano di “rischio estinzione” si riferiscono all’eventualità di elezioni a breve. Il M5s, invece, sembra essere tornato al suo passato movimentista, con Di Maio che dopo essersi scontrato con Berlusconi e Renzi ha evocato il voto per uscire dall’impasse. Nel centrodestra, invece, Salvini sta sempre più conquistando posizioni e potere ma non intende staccarsi dal Cavaliere, anche perché così sarebbe intestatario di un 17% e non del 37%.
A causa del pantano attuale dunque la carta delle elezioni resta sul tavolo del Capo dello Stato. Il governo istituzionale potrebbe poi trasformarsi in elettorale, dopo aver risolto i nodi economici in agenda, con un accordo su alcuni punti ben precisi. Ma un esecutivo non nascerà con il solo fine di promuovere un nuovo sistema elettorale modificando il ‘Rosatellum’. Il Colle è preoccupato del rischio instabilità. Difficilmente un ‘governo elettorale’ troverebbe una sintesi tra i partiti.
Ancora qualche giorno, e magari anche un terzo giro di consultazioni, e il presidente della Repubblica quindi tirerà le somme. Di sicuro – assicurano al Colle – si proseguirà nella gestione trasparente della crisi. I partiti già hanno ‘tradotto’ il messaggio che arriverà: non sarà consentito alle forze politiche di poter far giochini o di lasciare il Paese in balia delle intemperie. La palla dunque passa a Mattarella che inviterà – come ha fatto martedì mattina – a “distinguere il bene comune dai molteplici interessi di parte”.