È passato quasi un mese dalle elezioni, ma pare che sia passata solo qualche ora: alla vigilia delle consultazioni al Quirinale la situazione resta congelata esattamente come se fosse la mattina del 5 marzo.
Due partiti che rivendicano la vittoria e palazzo Chigi, un perdente dilaniato, un semiperdente che si è messo in posizione di attesa, e sta alla finestra. I quotidiani di stamane fotografano il paesaggio, e spiegano. Spiegano che il primo giro di consultazioni, c’è da scommetterci, finirà come è iniziato, nell’incertezza, e che questa no sarà colpa della Presidenza della Repubblica.
Intanto Di Maio e Salvini dovranno trovare un’uscita allo stallo, il Pd alla crisi interna, Berlusconi al problema di che fare di se stesso e del suo partito, soprattutto alla luce del fatto che in questa fase pare destinato più a subire che ad attaccare.
Scrive il Corriere della Sera che “le consultazioni partiranno al buio, senza un’ipotesi di accordo sul tavolo” e che i due contenenti per la guida del governo, Di Maio e Salvini, non scopriranno le carte prima della prossima settimana, vale a dire del secondo giro di stadio.
“Se l’enigma non sarà sciolto nemmeno con un terzo nome, Mattarella potrebbe non affidare alcun incarico esplorativo e dare ai partiti qualche altro giorno, per svolgere le loro assemblee e poi tornare al Quirinale con le idee più chiare”.
Problemi di chi ha vinto. Tra chi invece ha perso “il più dilaniato è il Pd, che non trova un punto di equilibrio tra la linea renziana dell’Aventino e la tentazione di un dialogo con il M5S”. Un dialogo, non un governo perché gli stessi Franceschini e Veltroni puntano piuttosto a un governo “con tutti dentro” sotto la regia del Colle.
Ma Renzi “non sarebbe disponibile nemmeno a un’ipotesi di questo tipo”. Lui vuole due cose: opposizione senza se e senza ma, e poi il lancio di un soggetto politico alla Macron che superi lo stesso Pd. Gli chiede a questo punto, dalla pagina dei commenti del giornale milanese, Ernesto Galli Della Loggia di riflettere sulla sua strategia: “ancora una volta egli sbaglia i tempi: ritirandosi sotto la tenda fa oggi quello che semmai avrebbe dovuto fare — ma per sua disgrazia non ha fatto — dopo la sconfitta referendaria”.
Anche perché c’è chi non dà per scontata la nascita di un’intesa M5S-Lega. Su La Stampa, ad esempio, Di Maio viene dipinto come decisissimo a fare un nome per Palazzo Chigi fin da subito: il suo. E sarebbe intenzionato a dimostrare la sua capacità di progettazione politica portando a Sergio Mattarella un Def già bell’e pronto, un documento di intenzioni economico-finanziarie pensato “per dimostrare di essere già maturi per il governo e, al tempo stesso, cercare di convincere Bruxelles”.
Quanto a convincere Salvini, probabilmente sarà ancora più dura. Sempre alla Stampa qualche leghista confida; “Ben venga quindi un incarico al giovin signore pentastellato così, parola di un leghista importante, magari capirà che il 32% non è il 51%. Insomma, se Di Maio vuole fare davvero un governo con il centrodestra, bisogna si rassegni al fatto che non sarà lui a presiederlo. E su questo punto i margini di trattativa, più che ristretti, sono inesistenti”.
“Governo con il centrodestra”, si badi, e non semplicemente con la Lega. Anche perché Berlusconi lascia intendere che senza di lui non ci sono possibilità di un esecutivo stabile, e intanto lancia il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, che pare sempre più vicino al doppio incarico in Europa e nel partito. E, intervistato da La Repubblica, sostiene senza giri di parole: “Non esistono leader di serie A e di serie B. Quattro milioni e mezzo di italiani hanno votato un simbolo con scritto Berlusconi presidente. Perciò parlare con noi senza coinvolgere Berlusconi è un periodo ipotetico dell’irrealtà”. C'è da credergli, se non altro perché il latino lui lo ha studiato in uno dei migliori licei di Roma, il Tasso.
Anche se poi, alla fine, tutto si gioca su un altro tavolo, che è quello del Quirinale. Commenta una volta di più La Stampa: “Le consultazioni che iniziano domani saranno un bagno di realismo per tutti e un passaggio non privo di rischi per i vincitori. Ad esempio, una volta al Quirinale, Matteo Salvini si accorgerà che è un po’ diversa da come lui se l’immagina. Invece è Sergio Mattarella che lo aspetta per chiedergli come pensa di mettere in piedi una maggioranza e un governo, con l’aiuto di chi, con quali programmi, quanto sono avanti i contatti coi grillini, dove si sono arenati, se Berlusconi c’entra davvero qualcosa e dove altro Salvini conta di bussare. Sarà la Lega a dover fornire risposte, non viceversa”.
Quanto a Di Maio, “intende far pesare che ‘sono stato indicato dal popolo», dunque «l’incarico mi spetta’. Però da lui Mattarella vorrà sapere dove prevede di raggranellare i voti mancanti alla Camera e al Senato, nel caso di accordo con Salvini chi siederebbe al volante, se tra loro due ne hanno già ragionato o ancora no, e quando allora lo faranno”. Insomma: Hic Rodhus, hic saltus. Mattarella non è andato al Tasso, ma il latino lo conosce benissimo.