Tutti d’accordo nel voler abolire leggi, leggine e regolamenti inutili, ma attivissimi nel proporne di nuove, come dimostrano i dati sull’attività della XVII legislatura che si è appena conclusa. Mentre il candidato premier di M5s Luigi Di Maio propone di abolire almeno 400 leggi inutili, e la sua idea è accolta da un coro unanime di approvazione, restano ancora più di 7.000 le proposte di legge presentate in questi cinque anni alla Camera e al Senato.
La necessità di un’energica opera di “sfrondamento” o di razionalizzazione delle centinaia di migliaia di norme, regolamenti, testi unici e codici in vigore nel nostro Paese è stata sempre riconosciuta da tutte le forze di governo negli ultimi anni, ma non sempre alle parole sono seguiti i fatti. E’ vero che i casi di delegificazione non mancano. In casa centrodestra, nel 2010 Roberto Calderoli, che si inventò il ministero della Semplificazione allestì uno scenografico rogo con la fiamma ossidrica di un’enorme pila di faldoni rappresentanti le norme inutili da cancellare.
Meno plateale ma sostanzialmente analogo il tentativo operato, sul fronte centrosinistra, qualche anno prima dal ministro della Pubblica Amministrazione Franco Bassanini. Di fatto negli ultimi anni c’è una tendenza a produrre meno leggi, un po’ per volontà del legislatore, un po’ per le condizioni politiche diverse dal passato, in particolar modo per quel che riguarda la legge elettorale.
Leggendo la banca dati del sito del Senato, nella legislatura appena conclusa, le leggi approvate sono state 365, di cui 83 di iniziativa parlamentare e 282 di iniziativa governativa. Molte in termini assoluti, ma meno di quella approvate nella legislatura precedente (la XVI), nella quale il totale fu di 389 (91 di iniziativa parlamentare e 298 di iniziativa governativa).
La diminuzione c’è anche per quel che riguarda il numero delle proposte di legge presentate nei due rami del Parlamento, anche se colpisce la mole delle proposte di legge presentate da deputati e senatori, se confrontate alla percentuale di quelle che effettivamente arrivano ad approvazione definitiva. In questa legislatura, a fronte delle 83 leggi approvate, quelle presentate dai parlamentari erano state ben 7.100, con una percentuale di “realizzazione” che supera di poco l’un per cento.
Il rapporto era più o meno lo stesso nella legislatura precedente, con 91 leggi approvate contro 8.591 presentate, mentre ben più alta è la percentuale delle leggi approvate tra quelle presentate dal governo: 282 su 763 presentate in questa legislatura, 298 su 879 presentate nella scorsa legislatura. Se sembrano numeri abnormi, basta risalire alla XIV legislatura per comprendere quanto la produzione sia diminuita: dal 2001 al 2006 furono approvate 685 leggi, 147 di iniziativa parlamentare e 538 di iniziativa governativa, su 8.923 presentate dai parlamentari e 1.471 dal governo. In mezzo, la legislatura abortita a metà con la caduta del Prodi-bis nel 2008, che già indicava una netta tendenza alla diminuzione.
Ma perché si fanno meno leggi? Un po’, come si è detto, per la consapevolezza che spesso più leggi creano solo più confusione. Poi, dal 2006, è indubbio che le maggioranze parlamentari che hanno sostenuto i governi sono state assai risicate: la legge elettorale del Porcellum, infatti, non era in grado di fornire una maggioranza stabile in Senato. Ciò ha determinato il progressivo aumento della decretazione e dell’iniziativa governativa in genere (col conseguente aumento del ricorso alle fiducie) e ha contratto lo spazio per la discussione delle proposte di legge parlamentari.
A dispetto di ciò, va detto che una delle attività principali degli eletti è rimasta quella di presentare proposte di legge, in media una decina per deputato, con picchi di 15 leggi pro-capite. Questo perché la presentazione di proposte di legge è uno dei parametri coi quali viene misurata la produttività dei parlamentari, indipendentemente dall’effettiva approvazione delle leggi stesse. Resta ora da vedere quale sarà la tendenza nel nuovo Parlamento dell’era-Rosatellum, anche se le lettura di questi dati lascia intuire che, in presenza di un quadro incerto (altamente probabile) la tendenza sarà di un’ulteriore contrazione.