AGI - Ci sono voluti oltre quindici anni e quasi 6mila giorni di lavoro in cantiere, pennellando affreschi per ore interminabili al caldo afoso del deserto. Eppure, la squadra di restauratori guidata da Luigi De Cesaris, esperto di fama internazionale nella conservazione di opere d’arte antiche, ha vinto la sfida riportando al suo antico splendore il Monastero Rosso di Sohag, sulla riva occidentale del Nilo, a circa 200 chilometri da Luxor. Al suo interno, De Cesaris recuperò un tesoro nascosto e di valore inestimabile: quattro strati di affreschi che raccontano oltre mille anni di storia. Un tesoro che ben giustifica l’odierno soprannome del Monastero, per gli abitanti del luogo “La Cappella Sistina dei Copti”.
A distanza di anni da quell’imponente lavoro di recupero (terminato dagli allievi di De Cesaris nel 2015, quattro anni dopo la sua prematura scomparsa) una mostra fotografica permanente - "Il restauro del Monastero Rosso: l’ingegno e la storia" - fortemente voluta dall’Ambasciata d’Italia in Egitto, dall’Istituto Italiano di Cultura e dal centro Archeologico italiano in Egitto, celebra questo restauro magistrale, con l’impegno dei restauratori che lo hanno reso possibile.
Inaugurandola, presso le sale del Museo di Sohag, l’ambasciatore italiano in Egitto, Michele Quaroni ha evocato “la passione dei restauratori italiani guidati da Luigi De Cesaris” sottolineando come “il lavoro realizzato è un esempio particolarmente luminoso della radicata collaborazione italo-egiziana nel campo del restauro del ricchissimo patrimonio artistico e culturale egiziano”.
Curata dal console onorario Francis Amin, la mostra offre uno sguardo unico sul meticoloso lavoro svolto dai restauratori italiani mettendo in luce lo straordinario valore artistico dei quattro diversi strati pittorici recuperato. Come ha sottolineato il curatore nel suo intervento “oggi il Monastero Rosso è un museo a cielo aperto che invita i visitatori a immergersi nella sua affascinante eredità”.
La mostra, così come la cerimonia inaugurale, hanno voluto in particolare rendere omaggio al talento e alla dedizione di De Cesaris, che “ha restituito al mondo questo inestimabile tesoro”, hanno ribadito le autorità intervenute.
Prima del complesso intervento di recupero dei restauratori italiani, Sohag era infatti conosciuta soprattutto per il Monastero Bianco (di San Shenouda l’Archimandrita) altra preziosa testimonianza dell’ascesa del monachesimo nell’Egitto tardo-antico. Un monumento copto considerato "gemello" di quello restaurato dal De Cesaris, anche perché dista solo qualche chilometro. Intitolato ai Santi Bishoy e Bigol, quest'ultimo edificio è conosciuto come Monastero Rosso perché costruito in mattoni cotti, riportati al loro colore originario sempre dalla squadra italiana.
All’interno del Monastero scintilla la cappella dei Santi, unanimemente considerata un’eccezionale testimonianza dell’arte cristiana nel periodo tardo-antico risalendo al quarto secolo (d.C.). L’intervento del team italiano ha peraltro accresciuto il richiamo turistico di Sohag, città ricchissima di testimonianze archeologiche (tra tutte il Tempio di Abydos “Seti I”, tuttora considerato uno dei meglio conservati risalente all’antica civiltà egizia), una tappa ancora scarsamente inserita nelle proposte turistiche dei tour operator.