AGI - Tutto va veloce. E la pigrizia, oggi, “è quasi un peccato mortale”, scrive il Paìs nel trattare il saggio del francese Alain Corbin che ha pubblicato “Histoire du repos” (Storia del riposo). Vince ed è idolatrato chi è sempre occupato, al punto tale che termini come “riposo, pensione sono spesso considerati come assurdi”.
Scrive il Paìs che, approfittando dell'isolamento dovuto alla pandemia, Corbin ha scritto un saggio con cui invita a vivere in modo diverso il rapporto con la fatica e il tempo. Secondo lui, dire "ho bisogno di riposare" è formulare un desiderio, un sentimento tanto certo quanto elementare. Ma anche no, perché “l'ozio ha sostituito il riposo”. E “in uno scenario in cui più di 40 milioni di persone nel mondo (a modo loro privilegiate) hanno lasciato il lavoro lo scorso anno”, fenomeno conosciuta come la Grande Dimissione, le persone si sono rese conto improvvisamente che avrebbero potuto “trovare modi migliori per guadagnarsi da vivere o anche non guadagnarsi da vivere del tutto”. Per cosa poi?
Osserva il Paìs: lavorare oggi ed essere anche un capo “non è la stessa cosa che averlo fatto o esserlo stato negli anni Novanta”. E poco importa se viviamo in un momento di stress permanente in cui termini come ‘riposo’ o ‘riposare’ sono stati cancellati dalla nostra mente, poco importa se nel 2021 la rivista scientifica Environment International ha stabilito che il lavoro eccessivo è il principale fattore di malattia professionale, responsabile d’un terzo delle malattie professionali.
O che un'altra indagine dell’Oms e dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) abbia evidenziato che “ogni anno 750 mila persone muoiono di malattia coronarica ischemica e ictus “a causa di lunghe ore di lavoro”, il che evidenzia che oggi muoiono più persone per lavoro eccessivo che per malaria.
L'obiettivo di Corbin è comprendere la distanza che va dai tempi in cui il riposo si identificava con la salute — stato di eternità felice — al grande secolo del riposo, che si estende tra l’ultimo terzo dell'Ottocento e metà del Novecento, l’allegoria delle spiagge, il riposo terapeutico, le ferie retribuite percepite come tempo utile a riscattare le fatiche del lavoro. Ma cosa è successo nel passaggio?
“La rivoluzione industriale”, spiega Corbin, che assicura che l'attuale ossessione per il bisogno di riposo “appare con l'arrivo delle fabbriche” che hanno reso “sottile l'alternanza lavoro-riposo” ed è “con il lavoro eccessivo, quello che Corbin chiama ‘surmenage’, che si stabilisce il riposo legale, e compaiono nuovi concetti come ‘tempo libero’, ‘relax’, ‘concentrazione’ o ‘disconnessione’, e a loro volta le scienze dello spirito. Del riposo come bene naturale”.
In sintesi: “Se la rivoluzione industriale ha portato la riduzione dei periodi di riposo e l'intensificazione della fatica, tra le classi privilegiate il progresso ha portato la possibilità di un riposo strettamente legato al tempo libero, alla coltivazione dell'io oltre il semplice recupero delle forze, a quello che oggi chiamiamo tempo personale e che rimanda al significato originario di riposo”. Che “non è ozio, ma sdraiarsi sull'erba sotto gli alberi in un giorno d'estate, ascoltare il mormorio dell'acqua o guardare le nuvole fluttuare nel cielo azzurro”.