AGI - Nell’amplissimo calendario delle ricorrenze nazionali e internazionali non poteva certo mancare anche la “Giornata della pasta”, che cade il 25 ottobre. La quale, come dice all’Agi Luciano Monosilio, ex chef del ristorante Piparo di Roma, oggi con un locale tutto suo – Luciano – dietro campo de’ Fiori, una Stella Michelin presa da giovanissimo, “è un prodotto fondamentale, anzi è la base della nostra alimentazione sin da quando siamo bambini, nessuno può anche solo pensare di rinunciarvi”.
Nel “World Pasta day” una cosa è certa: il mondo in generale ne ha sempre più voglia, stando almeno ai numeri e alle classifiche delle richieste e dei consumi: in dieci anni sono raddoppiati quelli totali, passando da 9 a quasi 17 milioni di tonnellate del 2021.
Il pianeta la chiama nei modi più svariati: noodle, nudel, pâte, massa, fideos, macarrão… Ma in ogni caso il pensiero e la pista delle sue origini non può che ricondurre all’Italia. Paese che ne annovera di diversi formati, tra tradizione e fantasia: tra il genere pasta secca troviamo spaghetti, linguine, bucatini, candele, maccheroni, trofie, candele, fusilli, conchiglioni, paccheri, orecchiette, anellini e fregula.
Processi e tradizioni fanno poi il resto, con sughi e condimenti: pappardelle al cinghiale, spaghetti al pomodoro, bucatini alla matriciana, spaghetti alla carbonara, cacio e pepe, spaghetti aglio e olio e con aggiunta di peperoncino, linguine allo scoglio, spaghetti alle vongole, pasta e alici, pasta chi sardi, pasta alla norma, spaghetti al nero di seppia, bigoli in salsa, tagliatelle al ragù alla bolognese, per citarne alcuni.
Nel nostro Paese esistono poi centinaia di tipi di paste ripiene. C’è da perdersi e da perdere la testa tra agnolotti, tortellini, cappelletti, ravioli e le loro mille declinazioni che variano da regione a regione, da cucina a cucina, ciascuna con i suoi segreti.
“Quando parliamo di pasta – riprende a spiegare Monosilio – noi parliamo sia di paste di grano, di pasta secca di grano duro e abbiamo anche tradizione di paste fresche, quindi pasta all’uovo, ripiena, paste acqua e farina, ma il prodotto che identifica maggiormente l’Italia è la produzione di paste secca di grano duro”.
Quanti tipi di pasta ci sono? “Sono due, pasta secca e pasta fresca. Poi ci sono i vari formati e nella pasta fresca troviamo le paste ripiene, le paste lunghe e quelle corte, con base uovo e le paste a base di acqua. Nella pasta secca di semola di grano duro abbiamo invece solo una tipologia: quella prodotta con acqua e semola di grano duro. Anche perché se non ha questi due ingredienti e ne ha altri non può essere chiamata pasta secca di semola di grano duro”, afferma lo chef stellato.
Pasta, nei primi sei mesi del 2022 l’export segna +9%
Tra i formati della pasta fresca a base di acqua e farina vanno menzionate sagne, pici, bigoli, tagliatelle mentre con base uovo ci sono tagliatelle, fettuccine, pappardelle, tonnarelli, maltagliati, garganelli.
Da cosa si riconosce la qualità di una pasta? Secondo lo chef Monosilio “nel caso di una pasta secca si riconosce dal volume proteico che sviluppano le proteine, ovvero dalla qualità del grano che viene utilizzata. Di sicuro è il primo step. Che poi sia trafilata al bronzo o al teflon poco importa, la qualità è a prescindere e viene dal prodotto iniziale”.
Di pasta noi italiani siamo i più grandi consumatori con circa 23 chili a testa l’anno, ma anche quelli che più di tutti, producendola nei nostri pastifici o preparandola nelle cucine dei ristoranti di cinque continenti (sono oltre 2.000 i locali certificati, secondo Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi), la fanno poi conoscere anche al resto del mondo: nel 2021, il 61% della produzione nazionale di penne, fusilli &co è stata destinata all’estero.
Stiamo parliamo di 2,2 milioni di tonnellate, in pratica 75 milioni di porzioni di pasta italiana che ogni giorno sono state proposte nelle case e nei ristoranti di quasi 200 Paesi. Tant’è che nei primi sei mesi del 2022 l’export segna +9%, con Germania, Uk, Francia e Usa al top, Colombia, Olanda e Arabia Saudita invece più sugli scudi.
Secondo una ricerca di Unione Italiana Food, per l’82% dei ristorati interpellati, (le punte più alte in Giappone e Francia), il consumo di pasta “è aumentato, confermando una tendenza che avevamo già visto attiva nei consumi casalinghi, durante e dopo il lockdown” e dove, infatti, la pasta “è molto importante nel determinare il successo del locale per il 67% dei ristoratori” (addirittura l’80% in Francia e Germania) in cui il 50% dei consumi di pasta nei ristoranti è coperto da pasta secca lunga, come spaghetti, linguine, bucatini e soprattutto liscia.
E si cucina seguendo il modello consueto (67%, con aficionados soprattutto in Francia e in Giappone), con acqua che bolle e fuoco acceso fino al raggiungimento dei tempi previsti, poi scolata a condita o al massimo (30%) risottandola (cioè cuocendola in padella con il condimento). Praticamente sconosciuta – 2% solo negli Usa – la cottura cosiddetta passiva (pochi minuti di bollore poi fino a quando viene scolata a fuoco spento). Una curiosità: il 22% dei ristoratori serve maxi-porzioni oltre i 100 grammi (addirittura il 60% nell’insospettabile Francia).
I giusti tempi di cottura sono tutto per questo alimento
Ovviamente c’è pasta e pasta e, secondo lo chef stellato Luciano Monosilio, il consiglio è scegliere una pasta che abbia “un alto valore proteico, quindi una pasta con un valore superiore ai 12 grammi per chilo, perché più nutriente”. E sulla cottura? Fuoco alto, fuoco lento, fuoco spento o cotta direttamente nel condimento…? Lo chef precisa subito: “Il termine cottura è sbagliato. La pasta essendo un prodotto secco va reidratato. Quindi questa idratazione può esser fatta in vari modi, l’importante è che il liquido in cui avviene la cottura abbia una temperatura superiore ai 70 gradi. E per il tempo, la si deve o assaggiare o fare riferimento ai tempi di cottura indicati sulle confezioni. Il tempo indicato è in genere quello reale di cottura, il minutaggio può arrivare anche a 12, 13 minuti, dipende dal formato e dalla qualità del grano”.
Consigli particolari sulla pasta, sul tipo e su come trattarla? “Vanno rispettati i tempi di cottura e di idratazione, la pasta dev’esser sempre cotta e non troppo al dente, quindi non troppo cruda ma neanche troppo scotta”. Va rispettato il giusto equilibrio.
Tuttavia secondo la ricerca di Unione Italiana Food in compenso, la filosofia della pasta al dente, che è di fatto sinonimo di approccio italiano alla pasta, si è affermata anche all’estero. Lo afferma l’82% dei cuochi interpellati. In Francia e Usa la pasta è al dente praticamente in tutti i ristoranti. Mentre il 18% - con punte del 40% in Giappone - si “piega” al gusto locale che a volte la preferisce stracotta. E sono anche pochi i compromessi rispetto agli usi locali: il 55% dei ristoranti serve ricette regionali italiane, il 31% ripropone la tradizione e solo il 14% ritiene che il glocal sia la strada giusta. Anche le ricette che hanno poco a che vedere con il Made in Italy scompaiono nel 73% dei ristoranti.
La tradizione per eccellenza è quella mediterranea, a cui si ispira il 53% dei ristoratori (e ben 9 ristoratori su 10 negli Emirati Arabi), quindi in questo ambito è molto limitato lo spazio per una cucina creativa e all’avanguardia che abbia per protagonista la pasta. Rimarca a tale proposito Riccardo Felicetti, Presidente dei Pastai Italiani di Unione Italiana Food: “Non abbiamo la presunzione di spiegare come si deve cuocere o condire un alimento che è stato ormai adottato da tutto il mondo. Ma oggi oltre il 60% dei pacchi di pasta prodotti in Italia viene esportata, contro il 48% nel 2000 e il 5% nel 1955… Se la pasta italiana gode all’estero di tanto successo ed è percepita positivamente è merito del centenario saper fare dei pastai italiani. E di chi, nei ristoranti italiani nel mondo, la valorizza in piatti che trasmettono il piacere e la gioia del mangiare mediterraneo. Tra gli intervistati, un cuoco su 3 ci ha anche rivelato che ogni volta che prepara un piatto di pasta pensa agli insegnamenti della mamma o della nonna. Sarà forse questo mix di sapere e amore il segreto della pasta italiana? Di certo, oggi, anche in un presente difficile ed incerto, la pasta è un momento di felicità accessibile e quotidiano”, conclude Felicetti.
Pasta, un alimento antisopreco e anticrisi
E a proposito di quotidianità, i contraccolpi di pandemia, geopolitica, caro prezzi ed energia hanno messo anche la pasta dinanzi ai grandi temi globali. In Italia sono 24 milioni le persone che ancora nel 2022 sono state costrette a far delle rinunce vivendo situazioni di disagio quotidiano, secondo il Rapporto Coop 2022, e per l’Onu 828 milioni di persone hanno invece sofferto la fame nel 2021.
Protagonista di infinite ricette antispreco e del “giorno dopo”, la pasta si conferma un alimento accessibile anche in un momento difficile per tutti. Un alimento anticrisi. Per esempio, in Italia con mezzo chilo di pasta e pochi altri ingredienti (pomodoro, un filo d’olio Evo, un po’ di formaggio), si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e bilanciato per una famiglia di 4 persone, spendendo poco più di 2 euro. E negli Stati Uniti, considerando il costo medio di un pacco di pasta da una libbra (1,36 dollari per poco meno di 500 gr), una famiglia americana di 4 persone può mangiare un piatto di pasta spendendo la metà o meno di quanto farebbe per acquistare un hot-dog a testa.
Ma il mondo come si nutre di pasta? Secondo i dati di International Pasta Organisation, l’Italia è il primo Paese produttore di pasta (con 3,6 milioni di tonnellate, precede Turchia e USA), ed è anche tra i primi consumatori, con 23 kg procapite annui, davanti a Tunisia (17), Venezuela (15), Grecia (12,2). Se il 2021 ha registrato 2,2 milioni di tonnellate di pasta esportata, le elaborazioni di Unione Italiana Food su dati Istat rivelano nei primi sei mesi del 2022 un’ulteriore crescita (+9%). In valori assoluti, Germania, UK, Francia, USA e Giappone sono i mercati più strategici. Ma la voglia di pasta italiana registra crescite superiori al 40% verso Colombia, Paesi Bassi, Arabia Saudita.
Poi c’è chi, come Luciano Monosilio, la pasta preferisce farsela in casa. Nel suo ristorante romano, “Luciano”, ha approntato un laboratorio apposito, attiguo al ristorante, che la produce in proprio. Ma perché? Non si fida di quella in commercio? “No, semplicemente per il fatto che siamo anche produttori di pasta secca di semola di grano duro. Il nostro è un laboratorio pilota per poi poter sviluppare un progetto più grande di produzione. Al momento il progetto è funzionale al ristorante ma da gennaio apriremo anche uno shop online e quindi sarà possibile acquistarla da parte di chiunque attraverso il sito. E sempre producendola nel laboratorio del ristorante”. Sarà una produzione limitata? “Si parla di 10 chili l’ora, intorno ai cento chili al mese, cento-centocinquanta al mese per la vendita mentre il resto lo utilizziamo per il ristorante”. E il condimento simbolo di una pasta o di una pastasciutta qual è? “Sicuramente salse di base storiche, soprattutto della cucina romana che identificano in particolare le paste secche, e tra queste metterei le tre più conosciute: amatriciana, carbonara e cacio e pepe”, conclude Luciano Monosilio.
La pasta trionfa nella cinematografia storica
La pasta è anche una grande protagonista del mondo in celluloide, al cinema. È ad esempio al centro di una delle scene finali del “Divo” di Paolo Sorrentino. Un dialogo tra Giulio Andreotti, interpretato da Toni Servillo, e la moglie Livia avviene davanti a un piatto di rigatoni all’amatriciana proprio pochi giorni prima che il leader politico Dc finisca alla sbarra nei tribunali di Palermo e Perugia per i suoi presunti rapporti con la mafia.
“Dove andiamo?” chiede una bellissima Monica Vitti tutta vestita dentro un abito blu ad Alberto Sordi che indossa uno smoking bianco. “Andiamo a mangiare, no?”, risponde lui con fare sornione. E lei, di rimando: “Mica qui da Alfredo? Chissà quello che costa qua!” Il film è “Polvere di stelle”, una commedia scritta e diretta dallo stesso attore romano nel quale i due decidono di festeggiare il momento di svolta della loro compagnia di varietà con un piatto di fettuccine all’Alfredo.
“Maccarone m’hai provocato e io ti distruggo. Io me te magno” è la celebre frase pronunciata da Alberto Sordi in “Un americano a Roma”. Qui i maccheroni al sugo fanno la loro parte in una scena iconica che mette in risalto l’amore per la cucina e in particolar modo per la pasta nel nostro Paese. Un fotogramma tra i più celebri della storia del cinema. “Questi sono rigatoni con la pajata”. “Pajata? E che cos’è?” “Che è? È meglio che non t’o dico, sennò… mangiali prima! Mangia Olimpia, assaggia. È un piatto tipico della cucina romana”. Ecco lo scambio di battute tra il Marchese del Grillo (Alberto Sordi) al tavolo dell’osteria con Olimpia Martin, quando arriva la moglie di Gasperino che, credendo di trovarsi di fronte al marito, inizia a colpirlo a colpirlo e insultarlo perché intento a trascorrere il suo tempo gozzovigliando, anziché soddisfare i bisogni della famiglia. La scena anticipa l’incontro tra Onofrio e il suo sosia ne “Il Marchese del Grillo” diretto da Mario Monicelli , commedia intrisa di romanità e storia tra piatti simbolo della capitale.
Gli spaghettoni alla carbonara sono il file rouge dell’onomino film “La Carbonara”, ultima testimonianza del sodalizio tra il regista Luigi Magni e Nino Manfredi; gli spaghettoni cacio e pepe trionfano in Roma di Federico Felini, e gli spaghetti aglio, olio e peperoncino fanno poi la loro parte ne “Il Conte Tacchia” del regista Sergio Corbucci. Buona giornata mondiale, pasta.