AGI - La a storica rumena Carla Ionescu ha raccontato giorni fa di aver carpito una conversazione tra due suoi allievi che si scambiavano consigli su quale programma d’intelligenza artificiale funzionasse meglio per scrivere i loro testi. I programmi di IA sono già così diffusi tra gli studenti univesitari? Del tema si è occupato il quotidiano inglese The Guardian, che segnala anche alcune esperienze di scienziati che si sono confrontati con questo tipo di produzione basata su metodi algoritmici.
Già nel 2012 il teorico informatico Ben Goertzel ha proposto quello che lui stesso ha definito un “test universitario robotico” per dire che “ci dovrebbe essere consapevolezza” del fatto che “un'intelligenza artificiale è in grado di ottenere una laurea allo stesso modo di un essere umano”.
L'informatico Nassim Dehouche ha ribattuto con un articolo che dimostra che GPT-3, il modello linguistico creato dall'OpenAi laboratorio di ricerca, potrebbe “produrre una scrittura accademica credibile non rilevabile dal solito software anti-plagio”.
Il dibattito è aperto. Il mese scorso, S. Scott Graham, professore associato all’Università del Terxas ad Austin, ha invece descritto l'incoraggiamento degli studenti a utilizzare la tecnologia per i loro compiti con risultati decisamente contrastanti in un articolo per la rivista scientifica Inside Higher Education.
I migliori, a suo avviso, avrebbero soddisfatto i requisiti minimi o poco di più, gli studenti più claudicanti hanno invece faticato, poiché fornire al sistema suggerimenti efficaci richiedeva capacità di scrittura di un livello sufficientemente elevato da rendere superflua l'IA. E ha concluso: “Sospetto fortemente che la scrittura robotica completa resterà proprio dietro l'angolo”. Come dire: non ci arriveremo mai.
Aki Peritz, un ricercatore del settore privato, ha sostenuto l’esatto contrario: “Con un po' di pratica, uno studente può usare l'intelligenza artificiale per scrivere il proprio elaborato in una frazione di tempo ridotta". Chi ha ragione? O meglio: fino a che punto l'intrusione dell'IA costituisce un imbroglio?
Osserva il Guardian: “Le università non si limitano ad affrontare saggi o incarichi interamente generati da algoritmi: devono anche giudicare una miriade di problemi più sofisticati. Ad esempio, i processori di scrittura basati sull'intelligenza artificiale suggeriscono abitualmente alternative alle frasi sgrammaticate. Ma se il software può riscrivere algoritmicamente la frase di uno studente, perché non dovrebbe fare lo stesso con un paragrafo e perché non con una intera pagina?”
A tale proposito il prof. Phillip Dawson della Deakin University sostiene: “Penso che in realtà insegneremo agli studenti come utilizzare questi strumenti. Non credo che li proibiremo necessariamente”.
Chiosa il quotidiano inglese: “Le occupazioni per le quali le università preparano gli studenti, dopotutto, presto si baseranno anche sull'intelligenza artificiale, con le discipline umanistiche particolarmente interessate. Prendi il giornalismo, per esempio…”.
Già. Un sondaggio condotto nel 2019 su 71 testate di 32 paesi ha rilevato che l'IA è già una "parte significativa del giornalismo", impiegata per la raccolta di notizie, la produzione di notizie (dai fact checker automatici alla trasformazione algoritmica dei report finanziari in articoli) e distribuzione di notizie (personalizzare siti web, gestire abbonamenti, trovare nuovo pubblico). Si chiede infine il Guardian: “Perché i professori di giornalismo dovrebbero penalizzare gli studenti per l'utilizzo di una tecnologia che potrebbe essere centrale per le loro future carriere?”