AGI - A volte ritornano. E tornano più determinati che mai, con la convinzione di aver subito una ingiustizia e che è venuto il momento di riprendersi “tutt chill’ che è nuostr”, per citare un adagio consumato.
Succede con Honor, un tempo “costola giovane” di Huawei (come amavano definirsi) e ora società indipendente, acquistata da una cordata di fondi e operatori cinesi pochi mesi dopo il ban di Trump che ha messo fuori gioco il controverso colosso.
Quando è stata costretta a rallentare la sua corsa, Honor deteneva il 10% del mercato globale. Non male, per uno spin-off di un’azienda che aveva superato Apple e mordeva i calcagni di Samsung. E mentre Huawei concentrava quello che restava delle sue forze sulla battaglia per mantenere una presenza sulle reti 5G in Occidente, il mondo si dimenticava di Honor e dei suoi telefoni tecnologicamente prestanti ed economicamente appetibili.
Cosa è successo dopo? Rassegnata al fatto che, almeno in Occidente, la partita degli smartphone era finita, Huawei ha venduto Honor insieme a tutti gli asset tecnologici, in particolare quelli relativi alle batterie e alle fotocamere. Anche un bel po’ di dirigenti sono migrati da una casa all’altra. Negli impianti di Shenzen si sono rimboccati le maniche e hanno cercato di mettere insieme i pezzi – letteralmente – per tornare in scena prima possibile.
Ci sono voluti quasi due anni e lo scenario che hanno trovato non è quello che si aspettavano. La tempesta perfetta si era abbattuta sul mercato degli smartphone: la pandemia, con il conseguente crollo della produzione e delle vendite; la crisi dei microprocessori; il caos della logistica – specie nelle consegne dalla Cina – e da ultimo la guerra in Ucraina che ha minato le prospettive di crescita. Ma, soprattutto, quella tripartizione del mercato tra Apple, Huawei e Samsung che sembrava immutabile fino a maggio 2019, era venuta meno e nuovi attori erano entrati in gioco: Xiaomi, Oppo, Realme e Vivo su tutti.
In tutto questo marasma Honor cosa ha fatto? Ha ripreso i contatti con i vecchi amici – operatori e grande distribuzione – ha assicurato di essere pronta a tornare in grande stile e a maggio ha lanciato uno smartphone da 1.050 euro: il Magic 4 Pro.
“La nostra è una storia fatta di resilienza” dice Stefano Grianti, sales vice president di Honor Italia “quello che è successo (il bando del 2019, ndr) lo abbiamo vissuto come un’ingiustizia e in quanto tale fa parte della vita, ma non può essere la scusa per arrendersi e tirarsi indietro”.
La sfida a riprendersi il mercato è ovviamente partita dalla Cina, dove Honor ha conquistato in meno di un anno una quota del 20% con una crescita del 205%. Resta da capire se in Occidente si porterà dietro lo stigma del bando o il buon ricordo di un marchio affidabile. “Il nostro passato è la nostra forza” assicura Grianti, “non dobbiamo crearci una reputazione, come hanno dovuto fare altri, e abbiamo clienti con grandi aspettative. Siamo alla vigilia di un’altra rivoluzione e il nostro obiettivo è sparigliare il mercato di chi non ha basi consolidate e lavorare sulla fiducia di clienti che sanno che possiamo conquistare la fascia alta del mercato”.
Il riferimento è alle case che fanno capo alla conglomerata BBK e in particolare a Oppo che ha da poco lanciato il flagship Find X5 e a realme che con la serie GT ha lasciato la fascia media per lanciarsi nello spazio inospitale e complicato dei top di gamma.
Entro fine anno Grianti vuole completare il lancio dell’ecosistema – smartphone, smartwatch, auricolari e computer portatili – anche se l’obiettivo finale è molto ambizioso. “Il successo” dice, “arriverà quando presenteremo un prodotto senza dover spiegare perché è il migliore”.
Quando gli chiediamo quanto ci sia della ‘vecchia Honor’ (leggi Huawei) nel Magic 4 Pro, Grianti ammette che la tecnologia delle fotocamere e delle batterie è ancora legata a quella esperienza, ma che il motore dello smartphone è frutto degli investimenti fatti per aumentare del 50% gli addetti al settore ricerca e sviluppo negli oltre 100 laboratori in sei centri.
Ma per quanto siano determinati, in Honor devono fare i conti con un mercato saturo e con un problema di innovazione che fa sì che da tempo i produttori riescano a concentrarsi solo sulla fotografia – l’aspetto più spendibile sul fronte del marketing. Inoltre secondo un recente sondaggio di YouGov, a livello globale, solo il 37% delle persone è interessato all’acquisto di un cellulare (dato che scende al 28% in Italia).
Grianti non è d’accordo: “Il mercato non è saturo, ma soffre di un contesto di crisi scatenato dalla pandemia, dalla guerra e dai problemi della logistica. È un problema di stabilità. Non ci sfugge che in una famiglia oggi possa essere una scelta difficile decidere se spendere mille euro per uno smartphone o per andare in vacanza. Per questo quello che vogliamo è far sì che ne valga la pensa, senza ombra di dubbio”.