AGI - Elon Musk non si accontenta di essere un semplice azionista, né quello principale: Elon Musk vuole essere il padrone di Twitter. Ha lanciato un'offerta pubblica di acquisto che lo porterebbe a spendere 41 miliardi di dollari e valuta la compagnia 43 miliardi. Il prezzo di offerta è di 54,2 dollari per azione, corrispondente a un premio del 38% rispetto alla chiusura del primo aprile di Twitter, l'ultimo giorno di negoziazione prima che la partecipazione del ceo di Tesla venisse resa nota, spingendo in maniera decisa il titolo.
In una comunicazione alla Sec, Musk afferma che Twitter ha “le potenzialità per essere la piattaforma per la libertà di parola in tutto il mondo”. Ma per “affrontare i cambiamenti di cui ha bisogno”, dev'essere una “compagnia privata”. Cioè non quotata.
Si punta quindi al delisting, cioè alla rimozione di Twitter dalla borsa. Non è solo un dettaglio che riguarda l'assetto societario. In una compagnia privata, Musk avrebbe pieni poteri e meno obblighi. Twitter non sarebbe più tenuto a pubblicare i bilanci in modo standardizzato, non dovrebbe tenere conto di altri azioni né di operazioni ostili per il controllo della società. E avrebbe piena libertà di comunicazione, perché affermazioni e decisioni non avrebbero alcun impatto sul prezzo delle azioni.
Twitter ha già convocato il consiglio di amministrazione per “valutare l'offerta nel migliore interesse della compagnia e di tutti gli azionisti". Accettare o rifiutare è nelle sue facoltà.
Nel primo caso, Musk diventerebbe il solo e unico proprietario di una società che nel 2021 ha fatturato 5 miliardi di dollari, ridisegnandola totalmente. Nel secondo caso, Musk potrebbe rilanciare a un prezzo superiore o tirarsi indietro. Stando alle sue parole, quest'ultima è l'ipotesi più plausibile: “È la mia migliore e unica offerta”.
Una di quelle che non si può rifiutare: “Se non venisse accettata dovrei riconsiderare la mia posizione come azionista”, perché non ci sarebbe “fiducia nel management” né la possibilità di “affrontare i cambiamenti necessari” se Twitter rimanesse quotata. Tradotto: o mi date tutto oppure vendo anche il mio 9%, con prevedibili ripercussioni negative sul prezzo delle azioni. “Non è una minaccia”, scrive Musk. Excusatio non petita, accusatio manifesta.
La privatizzazione è sempre stato il suo sogno, per nulla nascosto. L'insofferenza alle regole lo ha portato ad accusare la Sec (la commissione che controlla i mercati statunitensi) di “molestarlo”. E nel 2018 l'uomo più ricco del mondo aveva provato a privatizzare anche Tesla, salvo poi fare marcia indietro. Adesso ci riprova, dopo aver rifiutato l'ingresso nel board, che avrebbe limitato la sua quota futura poco oltre il 14%.
Diventerebbe anche Ceo?
Non è detto. Su questo punto c'è un episodio curioso. Nel 2015, quando il fondatore di Twitter Jack Dorsey decise di dirigere contemporaneamente sia il social network che Square, Musk (che allora guidava Tesla e Space X) lo sconsigliò, affermando che la sua libertà si sarebbe ridotta. È la prova che il primo azionista delegherà il comando ad altri? No, anche perché a distanza di anni Musk continua a guidare sia il produttore di auto che la compagnia aerospaziale.
Sull'Opa, gli utenti si sono divisi. I sostenitori brindano perché Musk assicurerebbe maggiore libertà d'espressione. Kim Dotcom, imprenditore informatico e turbo-libertario, ha ringraziato “Babbo Natale”, affermando che l'assalto a Twitter sarebbe “il miglior regalo di sempre”.
I critici sottolineano invece come la libertà assoluta promessa sarebbe deleteria. Molto duro è stato Robert Reich, ex segretario del Lavoro Usa. Il 12 aprile, prevedendo che il rifiuto di entrare nel cda sarebbe stato il prologo alla conquista di Twitter, sul Guardian ha definito la visione di Musk “pericolosa spazzatura”: “Dice di volere un Internet libero. Ma la cosa a cui davvero punta è renderlo ancora meno responsabile. Questo è il sogno di Musk. E di Trump e di Putin”, scrive Reich. Non si tratta di “freedom of speech” (libertà di parola) ma di “freedom of reach” (libertà per i ricchi).