Dietrofont sui videogiochi ragazzi che passano ore alla console sviluppano abilità sociali e competenze emotive. Non solo: i videogame sono degli ottimi insegnanti. È la tesi - controcorrente - di Jordan Shapiro, tra i massimi esperti mondiali di competenze digitali e tecnologia nell’istruzione. Consulente esperto del World Economic Forum e docente di filosofia, Shapiro è in Italia il 6 giugno per presentare il suo ultimo libro “Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale” (Newton Compton Editori). Un lavoro con cui rassicura i genitori - “I vostri figli imparano molto giocando” - e offre loro un vero manuale d’istruzione.
Limitare il gioco non è educativo
“Premesso che i genitori sono liberi di fissare tutti i confini che ritengono opportuni - ha spiegato Shapiro all’AGI - ciò che mi sorprende è che quando si parla di bambini e digitalizzazione, la conversazione verte tutta su restrizioni e regole. Ci chiediamo se i dispositivi sono tossici, se la massiccia esposizione è un problema. Ma la verità è che questi strumenti sono parte delle nostre vite, sono integrati nella sfera sociale, professionale, romantica e persino spirituale, a volte. Ecco perché dobbiamo capire come integrarli nel nostro quotidiano in modo positivo. È un problema di qualità non di quantità. Dobbiamo insegnare ai nostri figli come utilizzare bene questi strumenti e non vedo come le restrizioni ci aiutino in questo”.
Un allenamento alla vita adulta
Ma cosa imparano i bambini e gli adolescenti che trascorrono ore su Fortnite? “Da un parte imparano come giocare. E questa è la principale ragione che fa amare loro i videogames: i bambini amano imparare e i videogiochi offrono costanti feedback, nuove sfide, scoperte eccitanti ed esperienze immersive. Ora, è chiaro che imparare a saltare o a sparare nel mondo di Fortnite non sono capacità che si possono applicare nel mondo reale, ma nemmeno le regole del calcio o degli scacchi lo sono. Le lezioni sono altre: risolvere un problema e insistere, ad esempio”.
Ma c’è un aspetto più importante - spiega Shapiro - “giocando i bambini si allenano alla vita adulta. E’ così che sviluppano le abilità sociali e le competenze emotive, che imparano a realizzare cose e acquisiscono consapevolezza di sé. Ma il gioco non è neutrale, dipende dal contesto economico e tecnologico. Prima dell’industrializzazione non c’erano i parchi giochi, oggi i giochi digitali aiutano i nostri figli a interagire con gli altri nel modo più appropriato ai tempi attuali. Con questo non dico che i videogiochi dovrebbero sostituire i parchi giochi, ma che anche i videogiochi possono avere un ruolo importante nella formazione dei bambini”.
Il consiglio di Shapiro, dunque, è quello di evitare la netta contrapposizione tra mondo digitale e analogico. In primo luogo “perché esiste un solo mondo: viviamo le nostre vite sul pianeta Terra e interagiamo con l’universo. I dispositivi digitali ci aiutano a comunicare e a interagire. Se poi pensiamo all’Intelligenza artificiale, ci rendiamo conto di quanto questi ci possano aiutare in una moltitudine di azioni. Il punto è come vivere con questi strumenti - e con i loro aspetti negativi e positivi - sin modo etico, produttivo e compassionevole”.
L’obiettivo, spiega l’esperto, è quello “di massimizzare gli aspetti positivi e di limitare al massimo quelli negativi. Come genitori dobbiamo insegnare ai bambini come prendere il più possibile in modo attivo e minimizzare l’uso passivo. Non credo sia possibile entrare in contatto col mondo digitale (in modo sano) facendo separazioni nette.
Ecco di cosa dovremmo preoccuparci
Il secondo consiglio che Shapiro dà ai genitori è quello di non avere paura delle tecnologie digitali perché rappresentano un nuovo strumento per raccontare le storie, così come accadde con la scrittura o con la stampa. E poi per un altro motivo più semplice: “Siamo noi che usiamo le tecnologie non il contrario”. Per l’autore, dobbiamo assicurarci che i nostri figli usino gli strumenti digitali in modo dignitoso.
“Dobbiamo essere preoccuparci delle conseguenze se lasciamo i nostri figli immersi in un mondo digitale senza una guida o un punto di riferimento, ma essere preoccupati per le tecnologie digitali in sé, no”. “È necessario allargare le nostre menti e considerarle alla stregua di altri strumenti simili. Alcuni libri offrono contenuti negativi, ma non consideriamo la carta o la scrittura un problema. Insegniamo ai nostri figli a sviluppare uno spirito critico con cui analizzare quei libri. E lo stesso dovremmo fare con le tecnologie digitali. Dobbiamo insegnare ai nostri figli come utilizzarle al meglio non come evitarle”.
Ma i social non spingono i ragazzi verso la depressione?
“Non ci sono prove che i social media siano la causa dell’aumento di diagnosi di depressione e ansia tra i più giovani”, sostiene Shapiro. che continua: “Molti ricercatori hanno ridimensionato questa teoria. E alcuni fanno risalire l’aumento dei casi a prima dell’avvento dei social network. Per quanto mi riguarda ritengo che un limite ci sia: l’ansia e la depressione hanno a che fare con il modo in cui attribuiamo un significato alle nostre esperienze. I giovani, però, non hanno ancora quella maturità psicologica, emotiva o intellettuale di cui hanno bisogno per essere in grado di navigare in modo sano sui social. E in questo momento, è anche difficile trovare un modello: vediamo molte persone - alcune anche di altissimo profilo - adottare un comportamento rude e poco esemplare. Tuttavia, dubito che questi strumenti siano la causa dell'aumento dell'ansia e della depressione”.
Qual è allora la ricetta per crescere dei bambini in un mondo digitalizzato? “La cosa più importante è tornare indietro nel passato, identificare i valori umani essenziali, ripensarli in modo da renderli adatti a un contesto mutevole e tramandarli ai nostri figli”. E poi, mettersi in gioco. Letteralmente. Shapiro riscopre il gioco, trascorre del tempo con i figli davanti alla playstation, sta attento a “non pensare che il nostro lavoro al portatile sia più importante del gioco immaginario da cui sono presi i figli”.
E soprattutto, non fa un confronto con la sua infanzia: “L’abbandono di skateboard e monopattini a favore di tastiere e touchscreen provoca ansia ma, per il bene dei miei figli, metto da parte l’istintiva paura del cambiamento. Devo ammettere che la maggior parte di noi genitori, insegnanti, assistenti all’infanzia – persino politici – la vede in maniera sbagliata. Nonostante siamo perfettamente consapevoli che ogni generazione può e deve avere i propri giochi, siamo facilmente sedotti dalla nostalgica fantasia di un’infanzia che rispecchi quella che ricordiamo. Speriamo di vedere nei bambini il riflesso della nostra giovinezza”.