Avrebbe dovuto proteggere l’accesso a email, mobile banking, foto e social network installate sullo smartphone grazie a una password o al riconoscimento dell’impronta digitale. In realtà, secondo gli accusatori, raccoglieva dati sull’utilizzo delle app e li condivideva con Facebook che così aveva a disposizione una serie di informazioni utilissime a perfezionare nuovi servizi. Si chiama Bolt App Lock ed è l’ultimo dei casi che vedono il social di Mark Zuckerberg al centro delle polemiche.
A denunciare per primo la mossa, non proprio limpida, è stato il sito TechCrunch. L’app, lanciata lunedì 5 marzo, è scomparsa dal market Play Store nella giornata di venerdì 9. “Era un piccolo e breve test”, è la difesa di Facebook.
“La sicurezza non è l’obiettivo principale di Facebook”
Bolt App Lock è un prodotto di Onavo, una società di sviluppatori informatici che hanno messo a punto alcune app per la sicurezza dei dati contenuti sugli smartphone.
L’azienda, acquistata da Facebook nel 2013, è famosa soprattutto per Onavo Protect, la sua VPN, cioè la rete virtuale privata, che serve a “mantenere sicuri i dati di accesso al web e le informazioni riservate come i conti bancari”, come recita la sua descrizione. Ma l’app non si limita a fare questo: “Raccoglieva dati sulle abitudini degli utenti e mandava queste informazioni a Facebook”, spiega Business Insider.
Con Bolt App Lock, Facebook ci sarebbe ricascata: “L’interesse primario di Onavo e di Facebook non è la sicurezza personale – attacca TechCrunch. È trovare un modo per monitorare l’attività degli utenti sul telefonino e capire quali nuove app rischiano di distogliere la loro attenzione da Facebook”. Per Gizmodo l’app è “ingannevole”: le condizioni d’uso del servizio di Onavo, quello che in gergo si chiama disclaimer, erano poco visibili, raggiungibili soltanto cliccando il tasto ‘mostra altro’ della pagina dello store Android dal quale scaricarla. Come detto, ora l’app non è più presente sul sito, ma sia Gizmodo che TechCrunch riportano quello che vi era scritto. Eccolo:
“Raccogliamo dati sul tuo dispositivo mobile e sulle applicazione installate. […] Le utilizziamo per far funzionare, un’app di Onavo, e per migliorare il servizio. Poiché siamo parte di Facebook, utilizziamo queste informazioni anche per migliorare prodotti e servizi di Facebook, ottenere dati sui prodotti e sui servizi utilizzati dagli utenti, e migliorare l’esperienza di utilizzo”.
Gizmodo aggiunge: “Forse un giorno gli utenti di Facebook si saranno stancati di essere presi in giro […]. Ma fino ad allora, sembra che tutto ciò che possiamo fare sia tenere d'occhio questo tipo di spazzatura predatoria e far suonare l'allarme il più forte possibile”.
L’allarme, in effetti, ha cominciato a suonare. Will Strafach, esperto di sicurezza informatica, ha scritto su Twitter che se fosse stato confermato che l’app funzionava in quel modo, “avrebbe fortemente sconsigliato di usarla”.