Sparire nell’epoca del Web sembra impossibile, eppure in Europa è considerato un diritto al quale i colossi di Internet devono adeguarsi. Il 26 febbraio Google ha pubblicato la versione aggiornata del suo rapporto sul diritto all’oblio, ovvero sulle richieste ricevute per la cancellazione di determinati contenuti dai risultati del motore di ricerca.
L’istituto dell’oblio informatico, sancito con una sentenza storica della Corte di giustizia europea nel maggio del 2014, stabilisce che chiunque può chiedere la rimozione di link verso informazioni che lo riguardino qualora siano "inaccurate, inadeguate, irrilevanti o eccessive". Sarà poi l’azienda a valutare, sulla base di questi criteri, se procedere con l’oscuramento.
Secondo quanto riportato dall’azienda di Mountain View, le richieste di cancellazione di informazioni, nel periodo dal 2014 al 2017, sono state due milioni e mezzo, delle quali però il 57% non avrebbe trovato accoglimento.
Circa un terzo delle richieste ha riguardato individui che volevano la rimozione di riferimenti ai social media e a informazioni personali, mentre un altro 20% fa riferimento alla cancellazione di fatti di natura legale, come le menzioni in rapporti sul crimine o pagine governative.
Anche se la grande maggioranza delle richieste ricevute da Google proviene da soggetti privati (252mila che costituiscono l’88,7% delle richieste totali), “circa mille hanno riguardato il 15% dei link totali. Molte di queste provenivano da studi legali o da servizi di consulenza reputazionali”. Come si legge nel rapporto: “Negli ultimi due anni personaggi pubblici non governativi come le celebrità hanno chiesto la rimozione di 41.213 link, e politici e funzionari governativi di altri 33.937”. Dai dati emerge quindi una tendenza crescente per star e personaggi pubblici a ricorrere all’oblio informatico come estrema soluzione per curare la propria immagine.