È successo tutto in 24 ore. Sabato scorso Spotify, leader del mercato dello streaming di brani musicali a pagamento, ha ufficializzato lo scambio di quote azionarie con il colosso cinese Tencent, aprendosi a un numero colossale di nuovi utenti. Nelle stesse ore TechCrunch dava per cosa fatta l'accordo, confermato oggi, che ha portato Shazam, l'app che consente di riconoscere brani musicali a partire da un frammento, nella galassia Apple. E nel frattempo da Bloomberg arrivava una di quelle indiscrezioni che le grandi aziende spesso piazzano ad arte: YouTube, la piattaforma video controllata da Google, a marzo è pronta a lanciare un proprio servizio per ascoltare brani a pagamento: Remix, che punta a riscattare Alphabet dai flop di Google Play Music e YouTubeRed. Grandi manovre che, tra pochi mesi, potrebbero cambiare gli equilibri di un mercato dove il player dominante non è, per una volta, uno dei colossi della Silicon Valley, ma una startup europea, svedese per la precisione, che ha annichilito i concorrenti, dai francesi di Deezer a Tidal, comprata un anno fa dal rapper Jay Z, consolidando un primato che appare difficile da scalzare.
Un po' di numeri
Spotify ha 140 milioni di utenti al giugno 2017, 60 milioni dei quali pagano l'abbonamento che consente l'accesso a una quantità immensa di dischi, compresi gli artisti underground più oscuri che possiate immaginare, senza le interruzioni pubblicitarie e la qualità audio relativamente bassa della versione "free". Apple Music ha raggiunto i 30 milioni di iscritti solo lo scorso settembre e continua a crescere troppo lentamente. Apple Music aggiunge circa mezzo milione di nuovi abbonati al mese, un quarto dei due milioni annunciati da Spotify fino allo scorso luglio, quando l'azienda scandinava ha smesso di fornire aggiornamenti su questo fronte. Indizio di un rallentamento?
Perché Apple ha comprato Shazam?
La storia della londinese Shazam (iniziata nel 1999, prima dell'avvento delle app, quando ancora il servizio era basato sugli sms) e quella di tante aziende tech che hanno un'idea geniale, diventano popolarissime (lo scorso settembre è stato raggiunto il miliardo di download su smartphone) ma non riescono mai a trovare un modello di business che consenta loro di stare finanziariamente in piedi. E prima o poi gli investitori (a meno che non ti chiami Elon Musk) iniziano a perdere la pazienza. Tutto sta nel trovare un acquirente che abbia bisogno delle tue peculiarità e ti sappia valorizzare.
Secondo le indiscrezioni, Cupertino avrebbe speso 400 milioni di dollari per comprare la compagnia londinese, meno della metà del miliardo di dollari di valutazione assegnata a Shazam nel suo ultimo round ma molto di più dei 54 milioni di dollari di ricavi che Shazam ha generato nel 2016, pur resistendo alla crescente concorrenza di app analoghe come SoundHound. È tuttavia una cifra che rende quella di Shazam la seconda maggiore acquisizione nella storia di Apple dopo quella delle cuffie Beats, per le quali Tim Cook sborsò 3 miliardi di dollari nel 2014. Ma Apple ha più di una buona ragione per essersi lanciata in un simile investimento.
Al momento, le ricerche effettuate tramite Shazam possono portare l'utente ad ascoltare, o acquistare il brano, sia su Spotify che su Apple Music. Cupertino, che punta a un'integrazione di Shazam sia con Apple Music che con Siri, potrebbe decidere di tagliare fuori la concorrente dalla app, facendole perdere potenzialmente centinaia di migliaia di accessi al giorno. In secondo luogo, il ritardo di Apple Music su Spotify in termini di penetrazione e fidelizzazione dell'utente è molto probabilmente legato ad algoritmi meno efficaci, che non consentono di essere competitivi con le playlist e i suggerimenti perfettamente calibrati di Spotify. Apple spera quindi che Shazam porti in dote le competenze giuste per colmare il gap.
Spotify si appoggia a Pechino per sbarcare a Wall Street
Spotify, che ha invece faticato finora convincere Wall Street, ha stretto un'alleanza con Tencent Music, che controlla le piattaforme di streaming musicale QQ Music, KuWo e KuGou, per un totale di 450 milioni di utenti mensili (gli abbonati ai servizi a pagamento sarebbero però appena 15 milioni). Secondo i ben informati, le due società ora controllerebbero il 10% l'una dell'altra. Un'alleanza che porta due vantaggi a Spotify: un "piano B" qualora i ricavi dello streaming iniziassero a calare (una volta che Tencent Music sarà sbarcata in borsa, la partecipazione resterà un asset ben redditizio) e la possibilità di presentarsi agli investitori - la quotazione è prevista per il prossimo anno - con una strategia per dare l'assalto al mercato cinese.
È presumibile che Spotify e Tencent finiscano per dar vita a una joint venture contro la quale Apple Music, che in Cina ha 3,5 milioni di utenti, difficilmente riuscirebbe a competere. Non c'è altrimenti motivo per cui il gruppo cinese dovrebbe far entrare in patria un concorrente che è leader del settore su praticamente tutti gli altri mercati.
E a marzo arriva Remix di YouTube
La vera incognita all'orizzonte è però Alphabet, che a marzo lancerà un servizio a pagamento che concentrerà quelle che sono le offerte di Google Play Music e YouTube Red. Sia musica in streaming che video senza pubblicità, quindi, il tutto con un solo abbonamento. Del Resto YouTube rimane il principale canale online attraverso cui si ascolta musica, spesso contenuti piratati che fioriscono con una tale prepotenza da aver reso impossibile per le case discografiche segnalarli con puntualità. Secondo una ricerca della International Federation of the Phonographic Industry, l'85% del miliardo e mezzo di utenti mensili della piattaforma, si connette a YouTube per la musica. Come convincerli a sborsare del denaro, placando così l'ira di quel che rimane dell'industria discografica?
Delle tre grandi label superstiti, scrive Bloomberg, Warner ha già sottoscritto un accordo con Alphabet, mentre Universal e Sony sono ancora in trattativa, così come Merlin, un consorzio di etichette indipendenti. Universal ha già su YouTube un canale ufficiale, Vevo, attraverso il quale trasmette materiale video dei propri artisti, ma il contratto è in scadenza e andrà ridiscusso.
I punti deboli del progetto di Alphabet
La mente dietro Remix è Lyor Cohen, un ex manager di Warner che, in virtù dei suoi contatti con il settore, è stato investito del ruolo di guidare i negoziati. Già la scorsa estate Cohen aveva cercato di convincere gli interlocutori che l'ingresso di un nuovo player nel settore non può che favorire la concorrenza (pazienza se Alphabet è un gigante in grado di far impallidire Spotify, figurarsi i suoi concorrenti).
Il problema principale, però, rimane un altro: la maggior parte dei contenuti musicali presenti su YouTube sono streaming pirata di album o canzoni con la copertina del disco sullo sfondo. Se Alphabet non riuscirà a rimuoverli tutti, la corsa di Remix sarà azzoppata in partenza. Non solo, chi sottoscrive un abbonamento a Spotify, rinunciando alla versione gratis con le interruzioni pubblicitarie e una qualità audio minore, è spesso un appassionato che, comprando sempre meno dischi fisici, vuole contribuire a sostenere il settore. Un "approccio etico" che, di fronte a uno dei giganti di internet, potrebbe cadere o, comunque, lasciar preferire un'azienda dalle dimensioni più modeste, quale è appunto Spotify. Chi, invece, vuole solo sentire a scrocco l'ultimo singolo della popstar di turno, infischiandosene della qualità audio, continuerà a digitare il titolo del brano nella barra di ricerca e cliccherà sul primo risultato, anche se illegale.