Siamo tutti giornalisti? Secondo Enrico Mentana, direttore del Tg La7, intervenuto questa mattina al summit sulla cybersecurity organizzato da Samsung, assolutamente no. Nonostante quello che i social e il web offrono, nonostante i device, come smartphone e tablet, che abbiamo sempre in tasca, sempre pronti a connettersi e a connetterci con il mondo. “Oggi la situazione dell’informazione a livello nazionale (e mondiale) è molto critica”. Mai come in questi tempi le parole information e informazione sono state così distanti tra loro, dove alla prima corrisponde l’innovazione e alla seconda un sistema vecchio che necessita di rinnovarsi. “Il mio settore è quello che più di tutti ha subito la legge del contrappasso dell’innovazione digitale. Tutti pensavamo che questa avrebbe portato a un progresso della qualità dell’informazione. È successo il contrario”.
Un giornalismo di pirandelliana memoria
Mentana spiega come la soggettività sia diventata la spinta dell’informazione, eliminando sempre più le intermediazioni tra i fatti e i lettori. “Se il presidente della Regione Lombardia Maroni (presente al summit, ndr) scrivesse per esempio un tweet avverso a Salvini, di fatto taglierebbe tutti fuori dalla filiera che porta la notizia al lettore: i giornalisti, il suo ufficio stampa e qualsiasi altra mediazione. Di fatto, sarebbe lui il promotore di ciò che dice senza la garanzia del controllo e con la possibilità di prescindere totalmente dai dati di fatto”. È successo lo stesso con Donald Trump l’anno scorso, così come con la questione vaccini e migranti. “Si crea un sistema di verità alternative, un meccanismo pirandelliano in cui tutti trovano la verità che preferiscono. Una sorta di Così è (se vi pare) che però diventa oltremodo pericoloso quando si tratta di informazione.”
Giornalisti e strumenti novecenteschi
Siamo in piena era della Post-Verità creata dalla possibilità di accedere all’informazione da parte di tutti, soggetti forti e soggetti deboli. Qual è, quindi, il ruolo dell’informazione? È sempre più difficile: ci sono tantissime fonti e molti pensano di avere la verità in tasca. La gratuità apparente del mondo che raccontiamo ha portato alla vacuità delle imprese giornalistiche, al fatto che non riescano a uscire dalla crisi. Gli strumenti novecenteschi di cui i giornalisti si avvalgono non servono più a raccontare la realtà con efficacia. Ormai il lettore arriva a essere percettore dell’informazione quando il suo giudizio è già viziato. Questo porta a una potenziale incomunicabilità.
“Oggi l’informazione che corre sulla carta stampata e in buona parte sulle televisioni non è che un prodotto di giornalisti sessantenni per lettori sessantenni. La grande sfida di domani – ma in realtà già di oggi - sarà sul web. Servirà fare grande informazione sullo strumento più piccolo (lo smartphone) con la più grande audience di sempre. L’importante è sempre tenere a mente il discorso reputazionale: bisogna essere riconosciuti come fonti serie e certificate se si vuole avere credibilità. Un lavoro lungo, che richiederà lo svecchiamento del nostro settore nell’ottica di migliorare anche e soprattutto la società in cui viviamo”.