Indice
Uomini, robot e tasse: l’impronta sociale
- Verso il futuro con misurato entusiasmo e qualche preoccupazione
- L’impronta dell’innovazione sui processi sociali: una questione che divide
- L’innovazione tenderà ad imporsi, ma l’Italia è ancora in ritardo
- Sicurezza, libertà, democrazia: il ruolo delle tecnologie digitali
- L’automazione e la robotica: incentivarle o tassarle?
- Sì alla web tax, ma attenzione ai contraccolpi
- L’Italia “fuori rete”: strategie di sopravvivenza per chi non usa il web
Uomini, robot e tasse: l’impronta sociale
1. Verso il futuro con misurato entusiasmo e qualche preoccupazione
Nelle società moderne l'innovazione riveste un ruolo essenziale per sostenere la crescita economica e sociale, per aumentare la competitività e per creare nuove opportunità di lavoro. All’innovazione si affida oggi la vitalità e la sopravvivenza stessa a medio-lungo termine di un qualsiasi aggregato sociale. L’Unione Europea e tutti gli stati membri ormai da tempo sono impegnati ad “alimentare” i processi innovativi. Le imprese sono sotto sforzo perché l’innovazione continua è la porta stretta per rimanere competitive. In questo contesto il “peso” della rivoluzione digitale, con la sua capacità di produrre discontinuità e di tagliare trasversalmente ogni ambito dell’azione umana, è certamente preponderante. Non a caso viene spesso considerata come sinonimo stesso di “innovazione”.
In questo scenario, il progetto “Diario dell’innovazione” realizzato da AGI e Censis concentra l’attenzione soprattutto sulla disponibilità degli italiani ad aderire ai nuovi schemi che si vanno affermando nei diversi campi di azione. La sua esplorazione nei diversi segmenti della società è fondamentale perché indica la strada per far crescere il desiderio di investire nel nuovo, di mettersi sotto sforzo accettando nuove sfide. In altre parole, è la porta stretta per alimentare una “voglia di futuro” senza la quale crescita e progresso sociale rischiano di rimanere parole vuote.
Oggi il “sentiment” verso l’innovazione non è certo orientato univocamente in senso positivo. A questo proposito il Rapporto Censis – Cotec, nel 2016 ha lanciato un monito molto serio cogliendo i dubbi e le perplessità di un corpo sociale che mantiene un’anima critica, attenta a segnalare le possibili “esternalità negative” dell’innovazione, a trasferire sul concetto stesso i limiti che derivano da una sua applicazione parziale o distorta, a rimarcarne gli impatti inattesi.
In particolare, la gran parte delle opinioni si addensa sull’idea che le innovazioni degli ultimi vent’anni abbiano impattato positivamente sull’economia e la società italiana determinando però anche alcuni problemi (57,9%). Un sostanziale equilibrio tra i benefici apportati e i problemi generati viene segnalato dal 20,3% degli intervistati. Completano il quadro le opinioni estreme, quelle degli “autentici tifosi” dell’innovazione, concentrati unicamente sulla sua valenza positiva (14,2%) e quelle dei “nostalgici” del passato che riescono a vedere “più problemi che benefici” nei processi innovativi (7,3%) (Fig. 1).
Oggi però, la nuova indagine realizzata nell’aprile del 2017 nell’ambito delle attività previste dal “Diario dell’Innovazione”, consente di scandagliare in profondità la questione dell’impatto dell’innovazione sui processi sociali, in particolare il ruolo che essa gioca sugli equilibri tra i diversi ceti sociali e sulle dinamiche occupazionali.
Fig. 1 - Opinioni in merito agli effetti sulla società italiana delle innovazioni introdotte negli ultimi vent’anni (val. %)
2. L’impronta dell’innovazione sui processi sociali: una questione che divide
I processi di innovazione producono nuovi divari sociali o contribuiscono a ridurre i divari esistenti? Su questo tema gli italiani si dividono a metà: il 51,4% ritiene che li amplifichi, mentre il 47,8% è invece convinto che contribuisca a ridurli. Le variabili socio-economiche influenzano notevolmente le posizioni espresse: tra i ceti sociali più bassi cresce la quota di coloro che teme un’amplificazione dei divari (66,7%). Tendenza analoga ma più sfumata si registra nella quota di popolazione meno istruita (59,2%). All’opposto, tra i giovani e tra i ceti più agiati prevalgono opinioni orientate ad una riduzione dei divari per effetto di un abbassamento delle soglie di accesso a determinati beni e servizi. Interessante notare che analogo andamento si rileva tra gli abitanti delle città più grandi, quasi che la dimensione metropolitana si leghi ad opinioni più ottimistiche della media riguardo l’impatto dell’innovazione (fig.2).
Anche per quanto concerne le ricadute dei processi innovativi sulle opportunità di lavoro, una quota degli italiani non nasconde le proprie preoccupazioni. Il 37,8% degli intervistati (comprendente le classi d’età dai 18 e agli 80 anni) è convinto che processi di automazione sempre più spinti e pervasivi determineranno un saldo negativo di posti di lavoro. Le posizioni che sottendono le maggiori preoccupazioni sono riscontrabili, anche in questo caso, tra le famiglie di livello socio-economico più basso e tra le persone che non dispongono di titoli di studio elevati.
Al contrario, il 33,5% degli intervistati ritiene che le opportunità aumenteranno in uno scenario di nuovi lavori ancora per gran parte inesplorato. Completano il quadro coloro (il 28,5% del totale) che ritengono che i posti di lavoro nel complesso non varieranno in termini numerici. Il cambiamento riguarderà semmai il tipo di lavoro (Fig. 3).
Fig. 2 – Opinioni sul ruolo che svolge l’innovazione rispetto ai divari sociali secondo il livello socio-economico della famiglia (val.%)
Fig. 3 - Opinioni sul ruolo che svolgono i processi di innovazione rispetto alle opportunità di lavoro, secondo il livello di istruzione dell’intervistato (val.%)
3. L’innovazione tenderà ad imporsi, ma l’Italia è ancora in ritardo
Quale che sia la valutazione dei processi innovativi e delle loro eventuali esternalità, la maggior parte degli italiani (57,8%) è convinta che in futuro il progresso scientifico tenderà ad imporsi là dove troverà un mercato di sbocco per le proprie applicazioni concrete. Il 41% ritiene invece che ci saranno margini per intervenire selezionando i processi a potenziale impatto negativo (Fig. 4).
Guardando all’Italia ed alla sua capacità attuale di tenere il passo dei paesi più innovativi, si registra una notevole sfiducia. Solo il 9,8% degli italiani ritiene che il gap cumulato in passato si sia ridotto negli ultimi anni. Per contro, un 15,3% di “iper-critici” sposa la tesi che l’Italia sia sprofondando tra i paesi più arretrati d’Europa. Se queste sono le posizioni estreme, la maggior parte degli intervistati sceglie un profilo intermedio: c’è chi ritiene che il Paese faccia molta fatica pur a fronte di alcune eccellenze (44,6%) e chi pensa che certi processi siano inevitabili e che l’Italia sia un po’ al triano (29,6%) (Fig. 5).
Fig. 4 – Opinioni rispetto alla possibilità, in futuro, di esercitare un “controllo sociale” sui processi innovativi (val.%)
Fig. 5 - Opinioni rispetto alla capacità dell’Italia di tenere il passo dell’innovazione con i paesi più avanzati (val.%)
4. Sicurezza, libertà, democrazia: il ruolo delle tecnologie digitali
Una rapida penetrazione delle tecnologie digitali che permettono di monitorare l’andamento della vita collettiva nei suoi aspetti più minuti, consentendo di fatto un controllo su tutto quanto accade, viene considerata dagli italiani altamente auspicabile.
Le preoccupazioni per la micro-criminalità, reale o percepita che sia, e la minaccia del terrorismo che randomizza sempre più la sua azione, stanno spostando decisamente il pendolo tra libertà e sicurezza verso quest’ultima.
Dunque, ben vengano le tecnologie digitali che garantiscono maggior controllo anche se – nella loro tracciatura di tutto quanto accade - potrebbero sottrarre qualcosa alla nostra privacy e libertà di movimento.
La questione è certamente molto complessa, controversa e dibattuta. È però un fatto che il 40,8% degli italiani valuta positivamente la penetrazione in ambito urbano delle tecnologie che consentono un maggior controllo sulla vita collettiva. Inoltre, il 43,8% dichiara di adattarsi volentieri ad un maggior controllo, a patto che questo coincida con una maggior sicurezza. Queste posizioni si amplificano tra la componente più anziana della popolazione. Per contro, paventano una possibile riduzione della libertà individuale solamente il 15,4% degli italiani (che tuttavia superano il 20% considerando esclusivamente le giovani generazioni) (Fig. 6).
L’altro aspetto su cui l’indagine offre delle risposte riguarda la questione del legame tra le tecnologie digitali e i processi democratici. Al riguardo le posizioni sono meno nette: il 36,7% degli italiani è convinto che si determinerà una sinergia positiva grazie ad un più agevole e più diffuso accesso alle informazioni. Un ulteriore 34,0% di cittadini ritiene che i processi democratici non saranno influenzati più di tanto dalle nuove tecnologie. C’è però anche “un’area della preoccupazione” rappresentata da coloro (il 29,3% del totale) che ritengono possa aumentare l’esclusione da alcuni processi di rappresentanza democratica per le fasce di popolazione non in grado di utilizzare le nuove tecnologie o non raggiunte concretamente da quest’ultime (Fig. 7).
Fig. 6 - Opinioni in merito all’impatto delle tecnologie digitali sulla vita urbana per età dell’intervistato (val.%)
Fig. 7 - Opinioni in merito all’impatto delle tecnologie digitali sui processi democratici per titolo di studio dell’intervistato (val.%)
5. L’automazione e la robotica: incentivarle o tassarle?
Per un 10,0% di italiani parlare di automazione e di robotica significa proiettarsi in un libro di Isaac Asimov o tra gli androidi di Star Wars. Fantascienza, dunque, più che attualità o futuro prossimo.
La maggior parte degli intervistati, però (il 40,6%), si concentra sui dispositivi, in parte già oggi disponibili, che possono migliorare molto la nostra vita quotidiana, svolgendo al posto nostro compiti ritenuti faticosi o ripetitivi.
Ci sono poi coloro che focalizzano l’attenzione sulla possibile disoccupazione che verrà generata dall’applicazione massiccia della robotica nei processi produttivi (il 29,9% del totale dei rispondenti, che salgono però al 41,6% considerando la sola componente meno istruita della popolazione).
Solo il 18,7% degli italiani associa in prima istanza la robotica alla possibilità di ottimizzare i processi produttivi delle aziende aumentandone la competitività e la produzione di valore aggiunto (Fig. 8).
La penetrazione dell’automazione e della robotica nei processi produttivi, per il 42,1% degli italiani deve essere in qualche modo regolata a fronte del fatto che, sostituendo il lavoro umano finiranno per determinare una riduzione del gettito fiscale complessivo. Viene in pratica sposata la posizione di Bill Gates, il fondatore di Microsoft, che ha di recente sostenuto che un robot dovrebbe essere tassato nella stessa misura del lavoratore che sostituisce.
Una quota sostanzialmente identica di italiani (41,6%) la pensa diversamente: l’evoluzione scientifica e tecnologia seguirà il suo corso e non ha senso pensare di introdurre meccanismi che possano arginarlo o limitarlo.
Completa il quadro delle opinioni la posizione – minoritaria – di chi ritiene invece che l’introduzione della robotica sia da incentivare come elemento di sostegno alla competitività delle imprese italiane (16,3%) (Fig. 9).
Fig. 8 - Elementi a cui vengono immediatamente associate l’automazione e la robotica secondo il titolo di studio dell’intervistato (val%)
Fig. 9 - Opinioni sulla penetrazione della robotica e sulla possibilità che sostituiscano sempre più la forza lavoro umana (val.%)
Fig. 10 - Opinioni in merito alle soluzioni per la perdita di lavoro connessa all’introduzione di robot avanzati nella produzione industriale secondo il titolo di studio dell’intervistato (val%)
6. Sì alla web tax, ma attenzione ai contraccolpi
In un contesto in cui i grandi operatori della web economy (quelli che mettono in contatto domanda e offerta di beni e servizi basati su internet) sono sempre più de-materializzati e de-localizzati, da più parti si sostiene che non sia accettabile che si de-materializzino e de-localizzino (nei paradisi fiscali) anche i ricavi generati.
Più della metà della popolazione italiana concorda nel ritenere opportuna una legge in grado di tassare i profitti generati in Italia dai più grandi soggetti web (Google, Facebook, E.Bay, Amazon, AirBnB, ecc.) con sede legale in paesi a fiscalità privilegiata (Fig. 11).
Nel complesso sembra dunque che la volontà del Governo italiano di proporre un simile provvedimento agli altri Paesi dell’Ue durante il prossimo G7 delle Finanze in programma a Bari dall’11 al 13 maggio 2017 goda dei consensi della maggior parte degli italiani.
Bisogna però considerare che il 27,6% degli intervistati ritiene che la questione non possa o non vada affrontata a livello nazionale ma che vada demandata ad un livello sovranazionale come l’Unione Europea.
Inoltre, bisogna registrare anche la posizione – minoritaria nel Paese ma maggiormente sentita dalle giovani generazioni – di chi pensa che una legge del genere possa rivelarsi dannosa riverberandosi sui costi dei servizi web per l’utente finale.
Fig. 11 – Opinioni sull’introduzione di una “web tax” per tassare i profitti realizzati in Italia dai grandi soggetti del web con sedi all’estero (Google, Facebook, Amazon, ecc.) (val. %)
7. L’Italia “fuori rete”: strategie di sopravvivenza per chi non usa il web
In un Paese sempre più digitalizzato, dove l’83,3% della popolazione si connette alla rete più di una volta al giorno, c’è però una quota di italiani che non usa la rete e i sevizi che essa offre perché non può, perché non sa farlo o non sa farlo bene o, semplicemente, perché rinuncia a farlo.
Sono il 6,4% del totale gli intervistati che dichiarano che negli ultimi 30 giorni non hanno usato mai o quasi mai la rete internet. A conti fatti si tratta di più di 3 milioni di persone che hanno un’età compresa tra i 18 e gli 80 anni. A questi, naturalmente andrebbero aggiunti gli ultra-ottantenni, che sono in Italia 3,6 milioni e che solo in piccola quota sono utenti della rete.
È comunque confortante il fatto che il 57% di chi non si connette dichiara che all’occorrenza sarebbe in grado di farlo.
Quest’Italia “fuori rete”, per circa un terzo (29,6%) si sente realmente svantaggiata rispetto a chi è in condizioni di connettersi frequentemente e agevolmente (fig.12). Uno svantaggio che viene ricondotto principalmente all’accesso alle informazioni, ai servizi ed alle minori opportunità di relazione con gli altri.
Questi cittadini esposti digital divide, ricorrono oggi ad amici, parenti o conoscenti (67,6%) o ad intermediari specializzati quali patronati o Caf (23,5%) quando si trovano nelle condizioni di doversi collegare in rete per usufruire di servizi online (fig.13).
È dunque in atto un processo di “solidarietà intergenerazionale” fra chi è in grado di utilizzare i servizi digitali e chi, per l’età avanzata o per difficoltà economiche e culturali, non riesce a rimanere al passo con le innovazioni. Una solidarietà di cui ci sarà maggior bisogno nell’ipotesi in cui in futuro alcuni servizi pubblici vengano resi accessibili esclusivamente via web, come già oggi accade ad esempio per l’iscrizione alla scuola secondaria di secondo grado. La quota di chi si affiderà a persone di fiducia copre oltre un terzo del totale. Preoccupa invece la quota consistente (23,5%) di coloro che affermano che non saprebbero assolutamente come risolvere il problema (fig. 14).
Fig. 12 – L’Italia “fuori rete”: la percezione dello svantaggio (val. %)
Fig. 13 – L’Italia “fuori rete”: strategie adottate nei casi in cui è necessario utilizzare il web per accedere ai servizi online (val. %)
Fig. 14 - L’Italia “fuori rete”: strategie che verrebbero attuate nel caso alcuni servizi pubblici diventassero fruibili esclusivamente via web (val. %)
8. Contro la disoccupazione giovanile lavoro pubblico e start-up
Per fronteggiare il problema della disoccupazione giovanile gli italiani, e le giovani generazioni soprattutto, richiedono uno scatto di protagonismo ed un impegno diretto molto concreto dei soggetti pubblici con poteri decisionali. Due sono gli assi di intervento principali che vengono individuati tra quelli da presidiare: da un lato il rinnovamento della pubblica amministrazione attraverso uno sblocco del turn over, dall’altro il sostegno alle forme più avanzate di imprenditoria giovanile (le start up innovative).
Per contro, minori consensi ricevono tutte quelle modalità di azione che puntano a rafforzare il capitale umano (formazione in campo scientifico, competenze digitali, ecc.), o a rinnovare le politiche attive per il lavoro (potenziamento dei centri per l’impiego, apprendistato, programmi di studio all’estero, ecc.) (Fig. 15).
Modalità di intervento di natura socio-assistenziale come il reddito di cittadinanza, sia pure collegate a percorsi formativi obbligatori, non raccolgono al momento ampi consensi né tra i giovani né nel corpo sociale nel suo complesso.
Fig. 15 - Interventi su cui è prioritario puntare per ridurre la disoccupazione giovanile (val.%)