Nonostante le diverse notizie false che circolano nelle ultime settimane, ad oggi è ancora troppo presto per parlare dell’esistenza di un vaccino o di farmaci specifici per proteggersi e curarsi dal nuovo coronavirus (Sars-CoV-2). «Essendo una malattia nuova, ancora non esiste un vaccino e per realizzarne uno ad hoc i tempi possono essere anche relativamente lunghi», scrive il Ministero della Salute tra le Faq dedicate alla Covid-19.
Discorso analogo vale per i farmaci. «Non esiste un trattamento specifico per la malattia causata da un nuovo coronavirus: il trattamento deve essere basato sui sintomi del paziente», sottolinea ancora il Ministero. «La terapia di supporto può essere molto efficace e terapie specifiche sono in fase di studio».
Ma quanto tempo ci vorrà per trovare un vaccino o una cura per la Covid-19? Che passi in avanti sono stati fatti negli ultimi mesi?
Facciamo un punto della situazione, viste le tante notizie poco chiare che circolano in questi giorni sui media e sui social.
Quanti sono alla ricerca di un vaccino?
Come spiega l’Istituto superiore di sanità (Iss), in generale un vaccino è costituito da virus o batteri uccisi (“inattivati”) o resi innocui (“attenuati”) ed è prodotto «in modo da essere in grado di attivare le proprietà del sistema immunitario dell’uomo, senza causare la malattia».
Il principio è dunque apparentemente molto semplice, ma le ricerche in questo settore sono in realtà complesse e devono rispettare delle regole molto rigide, valide a livello internazionale.
Negli scorsi anni, le ricerche per trovare un vaccino contro la Sars e la Mers (due malattie causate da coronavirus appartenenti alla stessa famiglia del Sars-Cov-2) sono state interrotte perché si era riusciti a fermare in tempo il contagio.
Le cose con la Covid-19 sono però diverse. L’11 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha annunciato che siamo di fronte a una pandemia e da alcune settimane numerose aziende farmaceutiche (come Johnson & Johnson, Moderna e Inovio) e istituzioni accademiche sono al lavoro per accelerare i tempi nella ricerca di un vaccino per il nuovo coronavirus.
In questo ambito sta lavorando anche l’azienda tedesca CureVac, che il 16 marzo ha smentito di avere ricevuto un’offerta dagli Stati Uniti di Donald Trump per vendere il suo brevetto, una volta terminati gli esperimenti. La questione aveva suscitato un acceso dibattito in Germania.
In ogni caso, secondo una stima fatta da due ricercatori della Harvard Medical School di Boston, all’11 marzo scorso erano 24 i candidati a trovare un potenziale vaccino per il Sars-CoV-2, raggruppabili in due diverse tipologie.
Da un lato, c’è chi sta provando a sviluppare un vaccino sulla base della struttura virale del nuovo coronavirus; dall’altro lato, c’è chi sta facendo ricerca utilizzando quanto si è imparato nella realizzazione di vaccini preliminari per i precedenti casi della Sars e della Mers.
Il 16 marzo è arrivata anche in Italia la notizia che negli Stati Uniti sono iniziati i primi test sugli esseri umani di un vaccino (chiamato “mRNA-1273”) sviluppato dall’azienda farmaceutica statunitense Moderna e finanziato dal National institute of allergy and infectious diseases (Niaid) del Dipartimento della Salute americano.
A Seattle, negli Stati Uniti, è infatti iniziata «la Fase 1 dell’esperimento clinico per valutare il vaccino progettato per proteggere contro la Covid-19», scrive il sito ufficiale del Niaid. «Saranno coinvolti 45 volontari adulti in buona salute, con un’età tra i 18 e i 55 anni, per sei settimane. Il primo partecipante ha ricevuto il vaccino oggi [16 marzo, ndr]». Prima di questo passaggio, il vaccino era stato sperimentato su alcuni animali, mostrando risultati «promettenti».
Perché ci vorrà ancora molto tempo
Ma le tempistiche restano comunque molto dilatate. Come sottolinea anche l’Agenzia del farmaco italiana, «lo sviluppo di un vaccino è un processo piuttosto lungo ed elaborato». Perché? Ce lo chiarisce l’esempio americano appena citato.
«Questo studio valuterà la sicurezza delle differenti dosi del vaccino sperimentale e la sua capacità di indurre una risposta immunitaria nei partecipanti», ha spiegato l’agenzia statunitense. «Questo è solo il primo di molti passaggi nel processo di sperimentazione clinica per valutare i potenziali effetti benefici del vaccino».
In totale, secondo gli standard internazionali, le fasi di sviluppo e di sperimentazione clinica di un vaccino sono quattro.
Nelle prime tre fasi viene mano a mano aumentato il numero dei partecipanti coinvolti negli esperimenti, ed è in particolare nella Fase 3 – costituita da studi controllati e randomizzati – che si valuta l’efficacia e la sicurezza del vaccino.
«Questa tipologia di studi – spiega Aifa – rappresenta lo strumento più solido del metodo scientifico per dimostrare l’efficacia e la sicurezza di un prodotto medicinale, inclusi i vaccini, in quanto permette di attribuire con ragionevole certezza le differenze osservate nei soggetti coinvolti nello studio esclusivamente al medicinale/vaccino».
La Fase 4 è condotta dopo la commercializzazione del vaccino e ha lo scopo di verificare che il prodotto sia sicuro nelle sue reali condizioni d’utilizzo.
Come ha spiegato il New Yorker in un approfondimento dell’8 marzo scorso, anche riducendo il più possibile la durata di queste fasi e rispettando tutti gli standard internazionali, sarebbe «un record senza precedenti» riuscire ad avere un vaccino utilizzabile su grande scala entro «12 mesi».
«Nello scenario attuale, oltre a cercare nuovi vaccini, si potrebbero sperimentare quelli già in parte studiati per la Sars, arrivati nelle fasi preliminari, ma comunque ritengo che non avremo un vaccino utilizzabile non prima di un anno, se non addirittura due», ha spiegato a Pagella Politica il virologo dell'Università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco.
Ricapitolando: in giro per il mondo, decine di realtà – private e pubbliche – stanno cercando di produrre un vaccino sicuro contro il nuovo coronavirus, ma i tempi sono ancora lunghi (la stima di un anno sarebbe molto ottimistica).
Il vaccino resta comunque una delle armi più efficaci che possiamo avere contro l’epidemia in corso – per la quale non ci sono ancora prove che rallenterà con il caldo e l’umidità dei mesi estivi – anche se bisogna tenere conto di altri fattori non ancora chiariti, come il fatto se si rimane immuni una volta guariti da un eventuale contagio.
Se non fosse così – come alcune evidenze lasciano supporre – una soluzione potrebbe essere ripetere il vaccino ogni anno, come già avviene per esempio con l’influenza stagionale.
E i farmaci?
Come abbiamo visto nell’introduzione, ad oggi non esistono trattamenti specifici per la Covid-19, e di conseguenza neppure dei farmaci.
Eppure, nelle ultime settimane sui quotidiani italiani e internazionali spuntano notizie su medicinali che sembrano essere efficaci nel contrastare i gravi sintomi causati dal nuovo coronavirus. Di che cosa stiamo parlando?
È la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a spiegarlo, per esempio in uno dei suoi bollettini quotidiani, pubblicato a fine febbraio scorso.
In Cina «un’ampia varietà di medicinali riposizionati [vedremo meglio tra poco che cosa significa, nrd] e sperimentali sono stati identificati», scrive l’Oms. «Migliaia di sperimentazioni cliniche sono state pianificate o sono oggi in corso e si basano sull’impiego del remdesivir, della clorochina, del favinapisir, del plasma prelevato dai convalescenti e la medicina tradizionale cinese».
In questo caso, dunque, non stiamo parlando di farmaci pensati ad hoc per il nuovo coronavirus, ma del cosiddetto “riposizionamento” medicinali (in inglese repurposing), che come spiega la Fondazione Airc per la ricerca sul cancro avviene quando «è possibile utilizzare farmaci già approvati per curare malattie diverse da quelle per cui erano stati creati».
In queste circostanze si usa anche l’espressione “uso compassionevole” di un medicinale, come ha fatto il Ministero della Salute nell’annunciare che in Italia l’Aifa ha il compito di studiare i possibili effetti benefici contro il nuovo coronavirus per farmaci come il remdevisir (un antivirale in passato usato anche per l’Ebola) e il tocilizumab, utilizzato per la cura dell’artrite reumatoide.
«In ogni caso, la valutazione di questi farmaci sperimentali richiede esperimenti controllati randomizzati con criteri di ammissibilità realistici e con stratificazioni appropriate dei pazienti», sottolinea l’Oms.
Come abbiamo visto anche per i vaccini, fare esperimenti di questo tipo – tra cui quelli che sono nelle fasi iniziali in Italia – può richiedere mesi.
«A tale proposito, non è che il Ministero della Salute vuol ritardare a priori l’uso di farmaci potenzialmente efficaci», ha spiegato Pregliasco a Pagella Politica. «Bisogna partire dalle evidenze empiriche, per poi validare gli effetti positivi e per comprendere quelli avversi, che si possono scoprire solo estendendo il numero di persone soggette a sperimentazione».
Un invito a una maggiore attenzione alla sicurezza è arrivato anche dagli scienziati internazionali, come il professore di virologia della Fudan University di Shanghai (Cina) Shibo Jiang, che in un articolo del 16 marzo su Nature ha scritto che in Cina si stanno sperimentando «oltre 100 farmaci» contro la Covid-19, già usati per altri scopi.
«Sperimentare vaccini e medicinali senza prendersi il tempo necessario per capire i rischi per la sicurezza e la salute può portare a effetti controproducenti nell’attuale pandemia e nella sua gestione futura», ha sottolineato Shibo Jiang.
Ricapitolando: a differenza dei vaccini, si stanno già testando su alcuni pazienti affetti da Covid-19 farmaci nati per altri scopi, ma anche in questo caso servono sperimentazioni rigorose che richiedono tempo.
Conclusione
Nelle ultime settimane, la pandemia di Covid-19 ha aumentato l’attenzione del dibattito pubblico su due questioni: la ricerca di un vaccino e quella di farmaci efficaci a contrastare gli effetti del nuovo coronavirus.
Per quanto riguarda il primo tema, sono più di venti le realtà nel mondo che stanno cercando di mettere a punto un vaccino, ma gli standard di sicurezza internazionali che è necessario rispettare sono tali che risultati definitivi in merito si potranno avere, secondo gli esperti, al minimo entro un anno.
Per quanto riguarda i farmaci, in questo caso stiamo parlando di medicinali utilizzati per altre malattie, che vengono sperimentati sui pazienti per capire se possano avere effetti positivi anche per il nuovo coronavirus.
Vale anche qui un discorso identico fatto per i vaccini: l’urgenza di trovare un trattamento farmacologico efficace non deve però andare a discapito della sicurezza nella ricerca. Quindi servirà ancora del tempo prima di poter avere risultati affidabili e definitivi.